martedì 4 maggio 2010

Adattamento, disagio o creativita’?

Sarà vero che gli adulti ed i giovani sono soli, in uno stato di incomunicabilità e di isolamento dal mondo, che sono privi di futuro, che soffrono rispetto al loro destino, che avvertono e vivono un’inerzia conformista (Galimberti, 2007) e che, tra le forme di vuoto esistenziale, quest’ultima sia la più diffusa? L’assenza di prospettive e scenari praticabili per costituie una identità riconoscibile nell’ambiente umano che conseguenza comporta nello sviluppo personale? Si direbbe che privare il giovane del futuro, comporti mortificare l’anima, il talento, la speranza, il desiderio di migliorarsi e di costruire una identità. Quando un giovane percepisce un'attività privata del suo scopo ciò significa privare chi vi prende parte di un vero rapporto con il futuro, e, senza futuro, l'agire si muove in quell'orizzonte senza tempo che si muta in un agire senza senso, a vuoto, pura risposta alle richieste dell'apparato. E ciò non è dissimile dalla rigida risposta che ogni animale offre agli stimoli che provengono dal suo ambiente esterno.
Quando massima è la forza biologica, emotiva e intellettuale dei giovani (tra i quindici e i venticinque anni), questi giovani vivono parcheggiati in quella terra di nessuno in cui la famiglia non svolge più alcuna funzione e la società alcun richiamo.
I giovani vivono il tempo come vuoto mentre l'identità non trova alcun riscontro, nessun senso di sé, si smarrisce, l'autostima deperisce.
Ma che ne è di una società che fa a meno dei suoi giovani e della creatività? È solo una faccenda di spreco di energie o il primo sintomo della sua dissoluzione? Forse l'Occidente non sparirà per l'inarrestabilità dei processi migratori, contro cui tutti urlano, ma per non aver dato senso e identità e quindi per aver sprecato le proprie giovani generazioni.
Credo che i giovani oggi sembrano riconoscersi per il loro basso livello di autoconsiderazione, per la loro sensibilità precaria, incerta, gracile, introversa, indolente, per la loro inerzia provocata da un'eccessiva esposizione agli influssi della televisione, dalla comunicazione globale e di Internet. Immersi in un universo che non offre occasioni e scenari praticabili per costruirsi un futuro sembrano esser posseduti da un'unica preoccupazione costante: procurarsi un'incredibile quantità di tempo libero per assaporare fino in fondo l'assoluta insignificanza del proprio peso epocale, per provare l’ebbrezza del non aver un orizzonte certo, per non aver un futuro praticabile. Di qui le frequenti fughe, forse, nella rete, nell’era virtuale del social network, nei rapporti invisibili, nel sogno e nel mito. Un viaggio privo di slanci già alla partenza.
Un viaggio in un'identità venata dalla nostalgia relativa all'impossibilità di reperire radici proprie, una base esistenziale, una identità solida. Per questi giovani le cose del “mondo” sono fuori nell’universo e a disposizione prima ancora di averle desiderate. Sono al limite del sogno e della speranza, alla portata di un mouse. Ma su questa tipologia nuova di inerzia, caratterizzata da una rassegnazione contenuta descritta come "tipologia degli abbastanza" (con riferimento a quei giovani che vanno abbastanza d'accordo con i loro genitori, i quali concedono loro abbastanza libertà, etc.) si può intervenire con strumenti psicosociali oppure occorre affidarsi alle istituzioni tradizionali (scuola, famiglia, parrocchia, ecc.)? Insomma quali prassi sono possibili, quali strumenti critici e forme di relazioni umane possono servire. Si coglie così la portata del danno che gli adulti, a livello generazionale, hanno saputo creare in questi anni. Adulti che hanno, senza neanche minimamente cogliere la portata del fenomeno giovanile, delegato ad altri oggetti e forme, la responsabilità di creare dei legali sociali e umani. Una generazione di adulti che hanno sperimentato i processi di delega nei rapporti con i giovani, i figli, fuoriuscendo dal ruolo di educatori attivi, responsabili, critici, rigorosi.
E, allora, pare a tratti anche ovvio che i giovani hanno abbastanza voglia di diventare precocemente adulti anche se, a tratti, non troppo in fretta. Vogliono fuoriuscire dal quel mondo che vivono male, che hanno “letto” male, che hanno sperimentato osservando i genitori, tutti gli errori dei genitori distratti dal nuovo processo globale delle relazioni umane. Nessun progetto per il futuro anche perché non ci sono abbastanza opportunità, nessun ideale da realizzare perché non ce ne sono di abbastanza coinvolgenti.
Ma questi giovani hanno un peso e una valenza di mercato prima ancora che di identità. Sono oggetti da perseguire per il mondo dei consumi. Su di essi si concentrano le nuove aree di profitto e la pubblicità, la produzione dell'abbigliamento e le agenzie di viaggio e, soprattutto l'industria del divertimento. Molti genitori e molti insegnanti neppure s'accorgono che quei giovani non avvertono alcuna corrispondenza tra quanto si apprende e quanto s'intravede nella vita di fuori. A nessuno è data la possibilità di scegliere l'epoca in cui vivere, né la possibilità di vivere senza l'epoca in cui è nato, non c'è uomo che non sia figlio del suo tempo e quindi in qualche modo omologato.
Accade però che, rispetto alle epoche che l'hanno preceduta, la nostra è la prima a chiedere l'omologazione dei giovani e a costringerli a vivere in una terra di mezzo, una area di parcheggio rispetto al viaggio del destino.
Il "vuoto" conduce al nichilismo e alla speranza delusa circa la possibilità di reperire un senso, un percorso possibile. Si tratta di una inerzia in ordine a un produttivo darsi da fare. Si tratta di vivere in un contesto di sovrabbondanza e opulenza di stimoli “globali”, che conducono ad uno stato, a tratti, di anestesia sociale, di indifferenza di fronte alla gerarchia dei valori. Uno stato di noia senza poesia e di incomunicabilità.
Tutti questi fattori scavano un terreno dove prende forma quel genere di solitudine che non è la disperazione ma una sorta di assenza di gravità di chi si trova a muoversi nel sociale come in uno spazio in disuso.
Nascono da qui gesti e mode giovanili che non diventano stili di vita, costrutti, strade di idee innovative ma piccole azioni che si esauriscono nei gesti “inutili” per l’anima, progetti di vita che si dileguano velocemente tra i sogni, tappe inconcluse di un eterno disordine umano. Dr. Giuseppe Errico.

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