venerdì 11 giugno 2010

Le prassi di accompagnamento nel progetto La Strada Maestra per percorsi di inclusione sociale

Forse l’Occidente non sparirà per l’inarrestabilità dei processi migratori, contro cui tutti urlano, ma per non aver dato senso e identità, e quindi per aver sprecato le proprie giovani generazioni. Galimberti U., 2007

0. La storia comincia da qui

Il presente contributo intende sintetizzare alcuni degli aspetti emersi durante l’attuazione del progetto La Strada Maestra, proporre una riflessione ed alcune evidenze di campo. L’esperienza dell’Associazione Agenzia Arcipelago Onlus nel campo del sociale e dell’educazione dei giovani ha le sue origini nell’ambito delle prassi sociali (L.n.285/97; L.n.328/00) e della formazione (FSE). Lo scopo del progetto è stato quello di rimettere in rete organismi ed esperienze concrete, di ridurre l’isolamento dei genitori, ridurre il numero di giovani che abbandonano la scuola e che, non avendo un loro “progetto di vita”, rischiano la marginalità sociale, a volte cadendo nel circuito dell’illegalità. L’ottica è di agire in funzione della ricerca di soluzioni ed alternative al disagio vissuto dai ragazzi, docenti e genitori negli istituti scolastici e sui territori a rischio. Lo scopo è di agire in risposta ad un disagio collettivo che richiede risposte innovative, legate al tempo, capaci di attivare e rafforzare le comunità allargate (“istigazione territoriale ”). Partendo dalla forte motivazione ad individuare soluzioni “creative” ai molteplici aspetti del disagio sociale, familiare, individuale, sono state organizzate, nell’ambito del progetto biennale La Strada Maestra, alcune ed incisive azioni ed interventi collettivi e individuali (accompagnamento sociale, sostegno alla genitorialità, laboratori sul volontariato sociale, etc.) che hanno contribuito ad una rapida crescita collettiva nel contesto scuola/famiglia, sino a dare forma ad una prassi di lavoro di rete sociale a forte carattere partecipativo e solidaristico. In questo tratto epocale l'umanità ha il presentimento di un mutamento pauroso del suo destino e, insieme, una speranza forte di salvezza e di pace (Piro S., 2002).
La prospettiva d’azione è stata quella socio-educativa, del lavoro di rete e si è caratterizzata, prioritariamente, come azione comunitaria centrata sulle attività dentro/fuori il contesto didattico per favorire percorsi di contrasto alla dispersione scolastica e inclusione sociale. La sensibilizzazione dei vari gruppi (adulti, genitori, docenti, operatori e giovani) ha permesso di sviluppare e approfondire le relazioni nella comunità, mentre lo sviluppo sociale e aggregativo sul territorio, ha permesso la crescita organizzativa favorendo l'abbandono delle originarie forme assistenziali e spontaneiste d’azione. Il radicamento delle prassi educative, la costante presenza degli psicologi, volontari ed educatori nei singoli istituti scolastici coinvolti nel partenariato, la conoscenza dei linguaggi dei giovani, l’attenzione ai luoghi deprivati, ai genitori e alle loro storie di vita, alle risorse, ai bisogni collettivi e individuali, rappresentano, insieme al senso di appartenenza al territorio, il patrimonio che ha permesso l’avvio e lo sviluppo dell’esperienza La Strada Maestra. Da qui l’azione dell’Associazione è stata orientata a favorire la partecipazione dei docenti/operatori (alcuni referenti per territori coinvolti nel progetto), le connessioni tra esperienze e gruppi culturali e generazionali, nella prospettiva del rafforzamento del senso di comunità, di una sinergia in termini di contrasto e lotta alla dispersione scolastica e, più in generale, del disagio giovanile.

La storia del progetto inizia nelle scuole e a contatto con docenti, genitori e ragazzi, con speranze e attese, desideri e prassi di aiuto (prassi psicologiche, sociali ed educative). Il progetto ha sperimentato un modello di integrazione operativa tra enti pubblici e privati ed è stato realizzato coinvolgendo un partenariato piuttosto allargato costituito da differenti partner (scuole, cooperative, enti pubblici, associazioni di volontariato).
Attraverso un accordo di cooperazione/partenariato è stata realizzata una rete di enti/esperienze/professionalità: l’attivazione di azioni/interventi che hanno permesso la presa in carico di più di 2000 soggetti beneficiari finali (singoli utenti, gruppi classe, adulti, genitori, volontari) dell’iniziativa e l’attivazione dei relativi progetti individuali. Inoltre è stata possibile l’elaborazione e la sperimentazione di un sistema di lavoro di rete sociale e territoriale (Afragola, Arzano, Casoria, Giugliano in Campania, Napoli, Teverola, Orta di Atella).
Il raggiungimento di tali obiettivi ha permesso che la sperimentazione di tale modello di lavoro potesse essere acquisita dalla programmazione anche di altri territori che hanno espresso la volontà di ritenerla strategica per rendere più efficace il sistema di gestione ed erogazione di servizi sociali.
Ancora una volta si richiama in maniera significativa la dimensione dell’accompagnamento agli enti/territori/esperienze intesa come una funzione che, partendo dalla valorizzazione delle risorse (umane, organizzative, promozionali, scientifiche, ecc.) al fine di facilitare obiettivi di autonomia (autoaiuto), è intesa come promotrice di azioni positive, sinergiche, capace di stabilire connessioni (reti allargate) tra i vari ambiti di intervento ed ambiti territoriali svantaggiati (quartieri a rischio) ed in grado di cogliere le relazioni al fine di una progettualità compatibile con le risorse territoriali.
Nell’ambito del progetto sociale La Strada Maestra ( maggio 2008/ maggio 2010) sono stati coinvolti numerosi istituti scolastici oltre quelli previsti inizialmente dal partenariato (Istituto Comprensivo Pascoli II di Napoli Quartiere Secondigliano, Istituto Comprensivo Palizzi di Casoria, I.P.S.C.T. Don Geremia Piscopo di Arzano, Scuola Secondaria di Primo Grado G.Puccini di Casoria, Scuola Secondaria di Primo grado De Filippo/Vico di Arzano, Scuola Secondaria di Primo Grado Ludovico da Casoria di Casoria), la complessità degli interventi finalizzati all’educazione dei giovani, il contrasto della dispersione scolastica, la promozione sociale, la prevenzione, la riduzione del danno psicologico, il recupero (ri/scatto personale riguardo gli studi e il disagio sociale) e l’inserimento sociale hanno comportato una particolare attenzione alle esigenze del territorio deprivato (carenze culturali, assenza di spazi aggregativi), ai bisogni/aspettative e alle motivazioni (positive e negative) dei giovani, in particolare alle funzioni di apprendimento e di accompagnamento/orientamento che caratterizzano la relazione con alcuni target tipici: minori, giovani, genitori, operatori sociali e docenti. Da un lato alcune attività (corso di volontariato, corso di informatica) hanno consentito di rafforzare alcune abilità e competenze (abilità sociali, impegno civile, ecc.), dall’altro altre attività (rivolte anche ai genitori: corsi sulla genitorialità, orientamento, accompagnamento sociale) hanno permesso di potenziare le capacità relazionali e sociali.
Il progetto biennale si è proposto come sperimentazione di un modello di servizio “allargato” per la costruzione ed attivazione di percorsi collettivi e individualizzati di soccorso sociale di fasce deboli.
Gli aspetti problematici relativi sono significativamente intrecciati con i problemi sociali: l’assenza o la perdita delle attività socioeducative extrascolastiche e di supporto alla genitorialità è strettamente correlata al rischio di emarginazione ed esclusione sociale. L’attuazione di interventi socio-assistenziali non risulta sufficiente alla risoluzione di tale problematica, un accompagnamento assistenziale non induce all’attivazione di una soluzione e in ultima analisi non conduce ad un’autonomia sociale.
A questo proposito il progetto La Strada Maestra - per raggiungere gli obiettivi prefissati - ha realizzato e potenziato una serie di legami sociali tra enti istitutzionali e non, la “presa in carico” non tanto degli utenti (studenti, giovani, genitori, operatori, ecc.) bensì del territorio. Nella cultura dell’Associazione, in particolare, le prassi sociali e, nel caso specifico, le prassi di accompagnamento sono descrivibili all’interno dello spazio semantico delimitato dai concetti ascoltare-riconoscere-riconoscersi: l’ascolto è inteso come capacità di cogliere le potenzialità di un territorio/comunità, la sospensione di un giudizio negativo (“i giovani sono tutti….”), l’accoglienza e rielaborazione delle storie di vita, spazio alla manifestazione dell’identità dell’altro; il riconoscimento è inteso come restituzione della dignità e della identità personale e collettiva; il riconoscersi è inteso come movimento simmetrico di reciproca nominazione dell’identità all’interno di un sistema di legami comunitari. Tra le attività avviate quella relativa alle prassi di accompagnamento (Area 3) per soggetti in difficoltà e a rischio di esclusione sociale è stata finalizzata ad analizzare non solo le manifestazioni del disagio ma anche la sofferenza oscura (Piro, 2005) ovvero le dimensioni operative ed organizzative in relazione al contesto didattico-scolastico. In esito a tale percorso è stata prevista la realizzazione di interventi individuali e per singole classi di alunni (gruppo-classe), interventi psicopedagogici e formativi finalizzati alla riqualificazione delle funzioni della didattica, interventi di supporto per docenti e operatori locali.
Attraverso tali attività si è voluto pertanto procedere in direzione di un aiuto alle famiglie, ai ragazzi (accompagnamento sociale) e ai docenti, una sorta di sostegno alla “didattica per la didattica” e alla “cura delle crisi”, per una qualificazione continua del contesto didattico, della funzione degli operatori scolastici e quindi delle reti sociali valorizzando la dimensione dell’accoglienza/ascolto. Come è stato possibile rilevare la funzione di accompagnamento si è evidenziata maggiormente utile per la sua trasversalità rispetto sia al contesto didattico e alla sua implementazione, sia rispetto ai sistemi organizzativi coinvolti. La necessità di raccordare questi due livelli è stata dunque particolarmente rilevante. In questo senso l’analisi operativa ha rappresentato un’opportunità strategica per una lettura più organica delle prassi di inclusione sociale nelle singole scuole. In particolare, per la sua trasversalità, ha permesso una più organica razionalizzazione del complesso comparto scuola.
L’altro elemento caratterizzante è stato la dimensione inter-istituzionale del progetto. A questo livello l’accompagnamento ha assunto le caratteristiche di un intervento di sistema che si è sviluppato in un quadro multidimensionale (variabili inter-organizzative e intra-organizzative).

1. Un tratto di strada insieme ad altri

L'impegno attivo contro l'esclusione include necessariamente anche tutti gli interventi psicologici, sociali, progettuali (riabilitativi nelle terminologie d'uso), ambientali, pedagogici che il lavoro collettivo, la ricerca autentica, l'esperienza, la sperimentazione abbiano dimostrato utili nella cura della sofferenza e nel mutamento del destino singolare.
Non si può in alcun modo ravvisare in coloro che si occupano della sofferenza oscura una capacità di liberazione dall'esclusione che non derivi dalla generale coscienza della condizione umana in questa parte della storia, dalla pratica, dall'esperienza, dalla libera ricerca. Abbiamo realizzato un pezzo di strada con ragazzi e genitori, docenti e operatori sociali. Non tutti forse si ricorderanno della strada intrapresa. Ma il progetto La strada maestra è vissuto come reciproco accompagnamento tra le parti e coinvolge: docenti, allievi, operatori, genitori. Insieme potremmo dire che “abbiamo tentato di cambiare la realtà”. La realtà di cui si parla si lega al disagio, all’esclusione, alla sofferenza, alla dispersione scolastica, agli ostacoli nell’apprendere. In questo senso il progetto La strada maestra deve essere letto attraverso l’esperienza del condividere, del legame sociale, del fare un pezzo di strada insieme dentro e fuori la scuola e il nucleo familiare: prima dell’atto dell’aiuto esiste infatti l’esperienza esistenziale della compagnia, dell’auto-aiuto. Chiave di questa lettura è il senso di appartenenza ad una rete di legami sociali ed ad un territorio, attraverso il quale si può individuare un’ultima dimensione dell’accompagnamento: quello dell’aiuto alla comunità, alla collettività.
Nell’esperienza dell’Associazione Agenzia Arcipelago Onlus, in particolare l’accompagnamento personale, sociale, collettivo, proprio perché preceduto dal legame sociale, in realtà non ha un termine definito cronologicamente (l’età) o funzionalmente (la soluzione di un problema), ma continua come trama di sviluppo delle biografie individuali, dei gruppi e dei nuclei familiari, fuori e dentro gli istituti scolastici.
Accanto alle competenze di tipo tecnico attribuibili alla figura professionale dell’educatore o psicologo, altri operatori dell’Associazione (collaboratori) hanno articolato le competenze anche nei seguenti punti:
- saper ascoltare (silenzio e solitudine creativa);
- saper tacere;
- umiltà nel processo di costruzione della relazione;
- saper credere nella possibilità del cambiamento;
- saper essere disponibili al proprio cambiamento;
- saper accogliere le storie di vita narrate all’interno della relazione.
In altre parole le prassi sociali possono poggiare anche su figure non tecniche ma non per questo meno importanti nei processi di crescita.

2. Il rilancio dei legami sociali

E’ possibile rilanciare un’educativa affettiva (e non solo cognitiva) nelle scuole, nei luoghi dei giovani, di aggregazione ed espressione, una cultura dei legami sociali basati sul rispetto reciproco? Crediamo che tale aspetto o ipotesi di lavoro non sia secondario rispetto all’utilizzo delle prassi sociali innovative nelle scuole. L’attuazione del nostro progetto ha consentito, in un certo qual modo, un rilancio delle politiche territoriali nella Provincia di Napoli e Caserta (oltre che in alcuni quartieri della città di Napoli: Scampia e Secondigliano) come strumento di sviluppo delle reti, valorizzazione dell'accompagnamento all'interno di politiche partecipative, azione stabile e coerente: si tratta di punti che hanno costituito l’intelaiatura di un programma organico di politica territoriale e, al tempo stesso, snodi ad impatto organizzativo non indifferente.

3. L’approccio globale: il sociale con il culturale

Per l’Associazione Agenzia Arcipelago Onlus l’educazione dei giovani e il contrasto della dispersione scolastica sono delle priorità, dei concetti concreti strettamente collegati tra loro, alla prevenzione e al contrasto dell’esclusione individuale e richiedono un lavoro complesso, di comunità e di rete sociale. Non è un caso che l’approccio utilizzato è stato di tipo eco-sistemico ed ha riconosciuto come interni alla funzione di aiuto la finalità di rianimare i processi vitali della comunità ed i meccanismi espliciti di solidarietà.
La prima fase del percorso ha previsto un lavoro di approfondimento con genitori, operatori e docenti attraverso incontri e confronti con testimoni e interlocutori privilegiati afferenti al mondo scolastico, che si occupano di politiche e servizi sociali, ad operatori dei servizi territoriali. Come momento di lavoro di questa prima fase sono stati organizzati numerosi incontri per uno scambio di valutazioni fra i diversi soggetti invitati. Gli scambi hanno consentito di acquisire numerosi elementi di conoscenza in merito alla dimensione concettuale delle funzioni di accompagnamento per minori svantaggiati, alle dimensioni delle competenze nonché agli aspetti più direttamente correlati alla sfera organizzativa dei servizi e degli interventi sociali sul territorio e negli istituti scolastici coinvolti nelle aree di Casoria, Arzano, Afragola, Giugliano, Napoli (Scampia, Secondigliano), Teverola, Orta di Atella. Sono emersi inoltre interessanti evidenze circa le interazioni tra le azioni di policy locale e l’efficacia dell’accompagnamento sociale.
Nella seconda fase sono stati effettuati studi di caso per l’approfondimento della tematica.

4. Escludere/Includere

L’esclusione sociale dei ragazzi o studenti rappresenta una condizione legata ad una molteplicità di fattori, che limitano la presa di coscienza delle capacità residue, latenti, di un individuo mettendo a repentaglio la sua integrità e il suo benessere globale.
L’urgenza di una riflessione approfondita su questo tema e di una messa a punto di politiche sociali di intervento nasce sostanzialmente da due condizioni:
- l’intreccio dei diversi fattori che, in una crescente complessità sociale e culturale, concorrono al rischio di esclusione (non sono infatti più soltanto determinate ed evidenti condizioni di precarietà esistenziale che producono disagio e marginalità, ma una complessità di concause, spesso sfuggenti nelle reciproche influenze, che richiedono nuove e più articolate chiavi di lettura);
- la tradizionale “contrapposizione statica fra gli in e gli out, che nasconde l’erosione delle posizioni intermedie” .
L’esclusione sociale può generare una catena di reazioni che evidenziano la complessa compenetrazione di piani di vita di cui la stessa marginalità si alimenta: conflittualità, tensione, impoverimento e diminuzione della coesione sociale e del senso di comunità. Attraverso i meccanismi dell’etichettamento, nei gruppi degli esclusi si rinforzano i comportamenti che sono stati motivo di esclusione.
È dunque di un pensiero ampio che la polarità inclusione/esclusione ha bisogno per lasciare intravedere altri piani di leva, un pensiero che sappia recuperare ed esplicitare orientamenti di valore in relazione ai meccanismi di funzionamento della società, che superi divisioni, distanze, contrapposizioni (ad es. tra inclusi ed esclusi, poiché sempre più i soggetti “in” sono a rischio di essere “out” in ogni momento della loro vita e per motivi che sfuggono al loro controllo e ad una relativa prevedibilità) . A questo proposito gli stessi esclusi, e ancor più i soggetti a rischio di esclusione, devono essere assunti quale parte attiva per comprendere e contrastare dinamiche e situazioni che generano disagio e spingono ai margini della socialità. In tal senso la partecipazione attiva degli esclusi, anche in forme organizzate, costituisce un elemento chiave per lo sviluppo di strategie efficaci di contrasto all’esclusione sociale.
Nello stabilire i suoi criteri di funzionamento una società definisce indirettamente anche le condizioni di marginalità e disagio da parte di chi non partecipa ai meccanismi del sociale in modo attivo e consapevole.
Come mette in luce l’International Labor Organization , l’esclusione sociale è uno stato di povertà nel quale l’individuo non può accedere alle condizioni di vita necessarie per soddisfare i suoi bisogni essenziali (cibo, salute, istruzione, ecc.) e per vivere esperienze positivamente partecipative all’interno dei contesti sociali nei quali si vive. In questa prospettiva, dunque, soggetti socialmente esclusi sono tutti quei gruppi di cittadini le cui competenze ed abilità partecipative alla vita sociale sono compromesse in misura rilevante.
In una società complessa, anche l’esclusione si presenta con i tratti della complessità e della multiaccadimentalità: per descrivere il fenomeno dell’esclusione si ricorre al concetto di multidimensionalità, che tenta di render conto della molteplicità dei fattori di ingresso nella condizione di esclusione: condizione abitativa, reddito, occupazione, rete relazionale e condizione familiare-affettiva, assenza di protezione, etichettamento sociale. Alcune definizioni sottolineano i fattori più squisitamente relazionali, ponendo in primo piano gli aspetti di disaffiliazione alimentati dai fenomeni di precarizzazione del lavoro e di indebolimento dei legami sociali dovuti alla trasformazione delle strutture e dei modelli familiari e al deperimento delle forme di socialità quali il sostegno sociale fornito dalle reti di vicinato o dalle reti di associazioni a livello locale” .
Si è già posto l’accento sul fatto che l’esclusione sociale sia uno dei fenomeni più diffusi della nostra società e che essa riguardi soprattutto i soggetti definiti fragili, a rischio, in talune circostanze, di cadere in una completa condizione di isolamento dal contesto sociale e lavorativo. Molti (e molto differenti tra loro) sono i soggetti ad esserne esposti. Tratti comuni rimandano al tema dell’identità e della partecipazione alla vita collettiva, degli spazi sociali, dell’appartenenza e della reciprocità. La fragilità di un individuo/gruppo esprime il grado di esposizione ai fattori di rischio da considerare in relazione alle possibilità che i soggetti incontrano di comunicare, esprimersi e alle possibilità di accedere alle risorse ed opportunità sociali.
Tra coloro che è possibile collocare tra quelli più a rischio sono certamente i soggetti che vivono al di fuori di una rete di sostegno o che non hanno un sistema interno e relazionale in grado di garantire accesso ad opportunità e risorse, da quelle proposte dagli istituti educativi a quelle di socializzazione.
Altra questione generale è quella che chiama in causa “la disattenzione”, “la caduta di investimento” dell’investimento sociale laddove l’attenzione rappresenta un disegno di benessere.

5.Quale futuro per l’accompagnamento sociale di enti e persone?

In tal senso l’accompagnamento si configura come funzione promotrice di risorse, di spazi di comunicazione, di connessioni. È utile, tuttavia, un accordo semantico sugli obiettivi e le funzioni dell’accompagnamento nei differenti contesti in cui esso è o dovrebbe essere previsto, oltrechè sulle competenze dell’accompagnatore. L’accompagnamento, dunque, si rivela come funzione della relazione o processo d’aiuto, particolarmente utilizzata per contrastare un percorso di emarginazione o un rischio di esclusione sociale, promuovendo risorse e muovendosi in una logica di empowerment. In questo senso i lavoratori sociali dovrebbero essere sempre più promotori di risorse piuttosto che erogatori di risposte, ricercando le risorse là dove esistono: le risorse familiari, le risorse locali che possono essere attivate per favorire l’autonomia. Se l’accento principale viene posto in relazione agli individui, la considerazione necessaria è comunque che vi sia una maggiore esplicitazione delle funzioni di accompagnamento, di un rinnovato statuto, soprattutto in virtù del raggiungimento di obiettivi così ambiziosi e così necessari, come l’autonomia e l’inclusione sociale del soggetto a rischio.
La progettazione delle funzioni di accompagnamento deve tener conto delle dimensioni della ricerca, necessaria per passare dalla logica dei servizi a quella dei bisogni sociali.
Alcuni brevi rilievi, infine, sulla relazione tra dimensione concettuale delle funzioni di accompagnamento e professioni: è indispensabile affrontare il tema della ridefinizione dei profili professionali degli operatori sociali sia per quanto riguarda l’aspetto della formazione di base che per quanto riguarda la formazione permanente in servizio.
Il lavoro sociale senza funzione di accompagnamento non è definibile come tale. Pertanto più che come funzione autonoma essa può essere intesa come insieme di funzioni riconoscibili all’interno di una funzione più complessa. I requisiti della progettazione dell’accompagnamento sono quelle canoniche di ogni progettazione (definizione di scopo, obiettivi, azioni, risorse, ecc), ponendo tuttavia particolare attenzione a vincolare l’accompagnamento al contesto più ampio del lavoro sociale, che a sua volta risponde ad obiettivi e visioni di politica sociale.
Complessivamente, la centralità della dimensione e delle funzioni di accompagnamento motivano l’esigenza di definire e sperimentare territorialmente un efficace modello di formazione finalizzato da un lato ad accrescere le competenze di base e tecnico professionali degli operatori sociali direttamente impegnati in attività a contatto con le varie tipologia di utenza di soggetti a rischio di esclusione sociale; dall’altro a qualificare la progettazione, il monitoraggio e la valutazione delle funzioni di accompagnamento accrescendone l’efficienza e l’efficacia. L’analisi del lavoro sul campo, limitatamente alla questione della dimensione organizzativa collegata all’esercizio efficace delle funzioni di accompagnamento, ha permesso di evidenziare le seguenti funzioni di accompagnamento:
accompagnamento a valenza di mediazione tra istituto scolastico e nuclei familiari;
accompagnamento a valenza pedagogica per singoli studenti a rischio sociale e di dispersione scolastica;
accompagnamento a valenza terapeutica (ad indirizzo psicologico “tradizionale”);
accompagnamento all'interno di una pianificazione didattica specifica centrata sul problema;
accompagnamento come azione di sostegno alla relazionalità.

Tali forme diversificate di accompagnamento avevano come centro, ciascuno in modo differente, la centralità del legame di fiducia (legame sociale), la decodifica della domanda, i percorsi di solidità delle reti territoriali (tra enti pubblici e del terzo settore), il processo di presa in carico specialistica, la connessione con le politiche istituzionali, lo sviluppo delle reti, l'integrazione tra settori all'interno di politiche partecipative.



Aspetti fondamentali delle prassi di accompagnamento sociale

Accompagnamento si colloca in una dimensione multiattoriale
Accompagnamento all'interno di una pianificazione centrata sul problema
Accompagnamento all'interno di una programmazione con logica incrementale
Centralità del legame di fiducia e dello scambio
Centralità della decodifica della domanda “allargata” al contesto (scuola, famiglia)
Passare dal caso al problema
Ridefinire le professioni sociali (lavoro molteplice)
Ruolo determinante delle azioni locali
Accompagnamento a valenza di mediazione e confine
Accompagnamento a valenza pedagogica
Accompagnamento a valenza terapeutica (come azione di sostegno alla relazionalità e con il processo di presa in carico)


Il progetto La Strada Maestra quindi ha reso disponibili modelli d’intervento e strumenti che si sono dimostrati trasferibili a beneficiari differenti ed in territori diversi.
Su un piano operativo l’accompagnamento è stato sviluppato dall’Associazione attraverso un movimento continuo tra docenti e operatori, dal gruppo al singolo e viceversa, tentando sempre di ricondurre la relazione interpersonale all’interno di legami sociali (dentro e fuori la scuola), di aprire questi ultimi all’evoluzione delle identità personali. La chiave operativa del progetto è stata la relazione, il cui approfondimento è stato fondamentale per lo sviluppo della fiducia reciproca, per il rilancio di una educazione emotiva. Attraverso la relazione emotiva, che ha spesso origine nei setting informali, il consolidamento della fiducia reciproca permette di animare percorsi di ricerca condivisa delle risorse (interne/esterne) che possono contribuire alla soluzione dei problemi in modo attivo e partecipato, oltre la logica classica “servizio-utente”.
Ancora una volta dunque la dispersione/esclusione va compresa ovvero studiata, rivelata, antagonizzata: ed essa, come un mostro a mille teste, continuamente si riproduce e si trasforma in varianti pseudoprogressiste e pseudoliberatorie, con nomi, forme, tecniche, attitudini diversissime e complicate. Tuttavia ogni azione deve prevedere una dissoluzione del modello rigido in un modello molto più fluido, atto al collegamento in una rete sociale, spinto verso l'outreach, teso all'istigazione verso le forme di autonomia territoriale, pronto a cogliere tutte le occasioni di gestione non istituzionalizzata della crisi, impegnato a realizzare interventi e azioni per sofferenti che siano facoltative, variabili, provvisorie, atte al ritorno del singolo alla comunità. Così si potrà aprire un nuovo scenario, a favore di modalità più elastiche di accoglienza emergenziale, volte alla comprensione del senso della crisi e del suo superamento senza mutilazioni esistentive. La pratica sociale non si “esaurisce” quasi mai e nessun intervento si presenta “concluso”. La “buona” pratica sociale è immersa nei mutamenti del tempo, include un sostegno attivo e incondizionato delle persone e, senza una loro effettiva e autentica partecipazione collettiva, appare inutile. A conclusione il progetto La Strada Maestra ha messo in evidenza come ogni pratica pedagogica o di accompagnamento o di lotta all’esclusione sociale, ogni impegno contro la dispersione scolastica, nella sofferenza e nell'esclusione è una ricerca sull'accadere umano e nell’anima delle persone: ogni operatore, ogni volontario, ogni cittadino, ogni docente, ogni ragazzo, ogni allievo che attivamente svolga un'azione positiva, liberatrice contro la sofferenza, conduce una ricerca fertile di insegnamenti e di conseguenze. E non solo per se stesso. Giuseppe Errico e Angela La Torre


BIBLIOGRAFIA



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1997: Disuguaglianze e vulnerabilità sociale, in “Rassegna italiana di sociologia”, Roma, I.
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1995b: Finzioni Multiple. Appunti per un nuovo paradigma teatrale, in "Tra la Mente e la Scena", a cura di Donatella Diamanti, Tipografia Editrice Pisana, Pisa.
1996a: Una Nave in Terraferma, Vittorio Pironti, Napoli.
1998b: Il Soggetto come maschera, persona, molteplicità, in "Catarsi", 4.
1998c: Catarsi o creatività, in "Catarsi", 5.
2000: Il Teatro come cura della normalità, "Rivista delle Antropologie Trasformazionali", 4,27.
2001: Senza i teatri delle diversità, "Rivista di Arti terapie", n.5/6.
2003: Finzioni multiple. Antropologia trasformazionale tra cura e arte, "Informazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia", 20.
2006: Le dimensioni molteplici della pratica sociale, La città del sole, Napoli
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2003: Concepts and strategies for combating social exclusion. An overview, ILO/STEP, Estivill, J.
MARTINI E. R. A. TORTI
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PIRO S.
2002: Esclusione sofferenza guerra, La città del sole, Napoli.
2005: Trattato della ricerca diadromico-trasformazionale, La città del sole, Napoli.

venerdì 4 giugno 2010

Accompagnamento sociale ai ragazzi a rischio di dispersione

“Progetto La strada Maestra”. Azione 3-Scuola Aperte a tutti Relazione e riflessioni conclusive.

Nel mese di settembre del 2009 ha avuto inizio la seconda annualità dell’Azione 3 del progetto “La strada Maestra”, con termine nel mese di maggio 2011. Forti del successo del primo anno sono aumentate le richieste da parte degli istituti scolastici presenti sul territorio a nord di Napoli, di aderire al progetto.
Gli interventi si sono così esplicati nelle seguenti scuole partner del progetto:
La S.M.S. “ Pascoli 2” di Secondigliano, con attività rivolte alle classi IIF, IIE e IE.
La S.M.S. “Vico” di Arzano, con attività rivolte alle classi ID, IC, IB, IE e IA.
La S.M.S. “Ludovico da Casoria” di Casoria, con attività rivolte alle classi IB e IH.
La S.M.S. “Palizzi di Casoria, con attività rivolte alle classi IA, ID e IIID.

I dirigenti scolastici delle suddette scuole con i relativi referenti hanno accolto con grande entusiasmo le attività previste dall’Azione 3 e grazie alla loro disponibilità è stato possibile avere una collaborazione proficua ai fini dell’accompagnamento sociale.
Gli obiettivi specifici degli interventi sono stati rivolti all’educazione socio-affettiva, alla solidarietà, alla tolleranza, alla pace, alla convivenza civile, al rispetto di sé degli altri e dell’ambiente.
Gli incontri con le classi sono stati improntati all’insegna della conoscenza di sé e dell’importanza dell’espressione delle proprie emozioni per saperle etichettare e riconoscerle in sé e negli altri. La tecnica promossa è del circle-time, grazie alla quale, i ragazzi disposti in cerchio si sono sentiti liberi di raccontarsi sentendo prevalentemente circolare nel “cerchio” calore, ottimismo e tendenze libere da ogni forma di giudizio.
Grazie all’utilizzazione di questo spazio espressivo è stato possibile favorire la crescita dell’autonomia, della responsabilità e della partecipazione alla vita civile.

Gli argomenti trattati nei diversi incontri con le classi sono stati divisi per percorsi:

1. Percorso sulla conoscenza del sé e sul bullismo
Sono stati privilegiati gli scambi di esperienze sul disagio relazionale a scuola e fuori migliorando le competenze comunicative e relazionali con i pari.
Gli obiettivi formulati in fase di progettazione sono stati mantenuti per tutto il tempo del percorso formativo. E’ stato fondamentale un percorso di conoscenza del sé attraverso un’educazione alle emozioni affinché l’alunno potesse riconoscere le proprie emozioni e differenziarle da quelle altrui.
Il compito dell’adulto, in una relazione educativa, è aiutare i ragazzi ad affrontare il conflitto come un’occasione di evoluzione e di apprendimento, ovvero imparare, insieme a loro, a non sentirsi travolti, minacciati, ad andare oltre la dicotomia io vinco/tu perdi.
Le strategie adottate: La tecnica prevalente utilizzata è stata il circle-time, grazie al quale è stato possibile far circolare tra gli alunni calore e disponibilità all’ascolto e al dialogo.
Importante è stato l’uso del gioco dei pregi e difetti per la conoscenza del sé e la percezione degli altri.
Risultati ottenuti: questo percorso ha reso possibile la libera espressione delle emozioni legate alle varie situazioni e alle varie persone. Gli alunni si sono sentiti a proprio agio e liberi da tendenze legate al giudizio. In questo modo hanno superato anche il senso di vergogna che si prova per chi è stato vittima di bullismo o vittima di vari episodi di violenza scolastiche e extra-scolastiche. Hanno acquisito maggiore sicurezza e maggiore abilità nella comunicazione con ripercussioni positive sulla propria autostima.

2. Percorso sulla microcriminalità

Le problematiche del territorio legate sia agli episodi di camorra sia alle azioni illegali sono state affrontate tenendo presente l’importanza del tema dell’educazione alle regole. Spesso, nel percorso, c’è stata la consapevolezza che gli alunni non si oppongono alle regole che stanno alla base della relazione educativa perché ne ignorano quasi completamente l’esistenza, dimostrando di non accorgersi quando assumono atteggiamenti che ostacolano i rapporti con insegnanti e compagni, o compromettono il sereno trascorrere della vita scolastica ed extra scolastica.
Le metodologie utilizzate sono state le simulazioni dei vari casi e episodi raccontati da loro e attraverso la tecnica del problem solving si è trovato insieme una soluzione come alternativa ai comportamenti oppositivi e illegali fino ad allora attuati.
I risultati ottenuti: gli alunni hanno manifestato, durante il percorso, un bisogno crescente di ordine, regole, confini, limiti. Le loro continue richieste sono rivolte agli adulti significativi, insegnanti, esperti, affinchè li aiutino nella crescita ritornando ad essere punti di riferimento fermi e stabili. E’ un risultato positivo e condiviso dalle insegnanti, la richiesta che ci sia un adulto significativo che li aiuti ad assumere un ruolo e a costruirsi una identità diversa dai modelli di microcriminalità imposti dalla società.


3. Percorso: “Star bene a scuola e fuori”

Gli alunni, nel percorso formativo, hanno espresso la necessità di conoscere sulla base di quali parametri vengono giudicati, non solo per migliorare il loro rendimento, ma soprattutto per sviluppare consapevolezza rispetto alla percezione che gli altri hanno di loro. Solo grazie a tali certezze riescono a costruire progressivamente la loro identità, cogliendo con chiarezza quali siano le regole che devono guidarli nella società e quali i limiti oltre i quali questa loro identità rischia di non essere adeguatamente percepita.
La tecnica utilizzata è stata la somministrazione del test T.V.D e il cooperative learning. Grazie al test è stato possibile individuare varie forme di disagio e attraverso lo studio di vari casi e la simulazione dei vari episodi è stato possibile confrontarsi su vari temi e apprendere nuove abilità di fronteggiare lo stress e il disagio, parte naturale del percorso di crescita.
Risultati ottenuti: questo percorso ha reso possibile la ridefinizione del termine conflitto nell’ottica del percorso stare bene a scuola e fuori: il conflitto è inteso come uno stato della relazione, che riguarda duo o più persone, in cui si presenta un problema che crea disagio. Scegliendo di utilizzare le carte dei conflitti si assume un preciso approccio “so-stare nel conflitto”. Il risultato ottenuto non è stato quindi la risoluzione del conflitto, bensì di assumerlo come occasione per ristrutturare le relazioni.



4. Percorso finale: visione del film “Basta guardare il cielo”

Una toccante favola moderna il cui coraggio è disponibile in tutte le misure.“Basta guardare il cielo” è una storia divertente e avventurosa di due ragazzi, che nel nobile spirito di Re Artù e dei due cavalieri della tavola rotonda, danno vita ad un viaggio affascinante alla conquista del più grande tesoro che ci sia l’Amicizia. Insieme, i due protagonisti condividono i dolori e le gioie della loro vita scolastica e familiare e riescono ad affrontare le loro difficoltà con gran coraggio grazie alla forza della loro unione, della loro amicizia.


La partecipazione dei ragazzi al progetto è stata davvero notevole ed entusiasmante mostrando vivo interesse e curiosità alle tecniche, ai giochi e alla modalità di condurre i lavori di gruppo oltre che agli argomenti di volta in volta trattati.
In particolare, hanno sperimentato l’armonia che si è venuta a creare tra di loro e una disponibilità sempre più crescente ad esprimere le proprie emozioni, disagi e difficoltà liberi da tendenze legate alla paura di sentirsi giudicati.
Avere la possibilità di essere ascoltati e di esprimere apertamente sia gli aspetti positivi sia quelli negativi delle loro esperienze libera dal peso di sentirsi “pieni” di emozioni con la finalità di promuovere uno sviluppo armonico della propria personalità. Ogni argomento trattato è stato presentato in una dimensione ludica in modo da favorire la cooperazione e lo scambio tra i membri del gruppo favorendo il divertimento e mai la noia.
I giochi utilizzati hanno consentito di imparare sia a relazionarsi che a riflettere sulla differenza delle percezioni di sé e quelle degli altri.
Il tutto in un ottica di prevenzione del disagio e di promozione del benessere psico-fisico e di educazione alla legalità come principio etico.
Da un’analisi e un’interpretazione dei dati ricavati sia dall’elaborazione del test TVD sia dai vari incontri ricchi dal punto di vista emotivo e relazionale, ho avuto modo di riflettere e formulare delle mie ipotesi.
La scuola, luogo di vita reale, è il principale spazio all’interno del quale gli adolescenti si mettono alla prova nella gestione delle relazioni; qui si incontrano le regole, i limiti, le “prassi consolidate” per rapportarsi con gli altri. Se la scuola non garantisce questa possibilità, se diviene uno spazio all’interno del quale non esistono rapporti di causa e effetto (io faccio questo e il compagno/l’insegnante/il preside rispondono in questo modo), o non vengono fornite indicazioni sulle regole di gestione dei rapporti (mi relaziono con gli amici come con l’insegnante, con il preside come con il mio compagno di banco, ecc.), allora si trasforma in un paese “fantastico”, che non trova e non troverà mai nessuna corrispondenza nella realtà, giacché “fuori” (ad esempio nel mondo del lavoro) regole, limiti e rapporti di causa-effetto sono tenuti in gran considerazione.
Gli adolescenti hanno bisogno di ordine, regole, confini, limiti come i bambini hanno bisogno di sicurezza, fiducia, affidabilità.
Molti sono gli insegnanti che posseggono buone competenze e parecchi riescono a metterle a frutto, sapendo gestire in modo efficace i propri alunni. Altri invece, e non sono pochi, faticano nel trasmettere competenze e abilità, proprio perché frenati dall’incapacità dei ragazzi di riconoscere dei limiti: non percepiscono infatti il contesto educativo come caratterizzato dalla necessità di rispettare certe regole, così come la relazione con “l’insegnante” come un rapporto con sue specifiche caratteristiche. Gli insegnanti si sforzano di mostrare che non tutto è sempre permesso, che ciò che può essere giusto in un contesto risulta non adatto in un altro, ma spesso trovano davanti a sé un muro: “Perché non posso dipingermi le unghie in classe?” Non sto mica disturbando?”, “Perché non posso stare fuori classe se il professore sta interrogando altri compagni?, “Perché non posso stare con le cuffie nelle orecchie, se seguo ugualmente la lezione?”: ecco alcuni esempi che dimostrano come l’educare al rispetto delle regole sia un’esigenza anche degli insegnanti, ai quali va ricordato che non basta fingere di non vedere.
Mi ritrovo sempre più a pormi l’interrogativo se possono gli insegnanti sottrarsi alla valutazione della valenza educativa del fingere di non vedere.
Mi è d’obbligo, tuttavia, richiamare alla mente il contratto per nulla tacito, che la società, e all’interno di essa in modo particolare la famiglia, stipula con la scuola e con i suoi rappresentanti. Tale accordo coinvolge gli insegnanti e gli alunni ma, ancor di più, gli insegnanti e le famiglie dei ragazzi, richiamando ognuno al rispetto del proprio ruolo educativo.
Educare alle regole è compito della famiglia e della scuola; spetta alla scuola, così come alla famiglia, far sperimentare al ragazzo l’esistenza di limiti e di norme socialmente condivise. L’insegnante, al pari del genitore, dovrebbe sentire l’esigenza morale di educare alle regole i ragazzi, ancor di più quando li ama e ha a cuore la loro formazione, senza però dimenticare la necessità di dosare ragione e sentimento, senza confondere l’educare con il punire o il reprimere.
Si potrebbe utilizzare una metafora significativa: dosare l’educazione alle regole così come si dosa una medicina per un ammalato, in situazione di sofferenza, l’azione della medicina-regola può essere cura se fornita nella giusta dose e nel giusto momento, o veleno se mal dosata o somministrata in momenti sbagliati.
Credo, vivamente, che educare alle regole sia oltre che un’esigenza dell’insegnante anche un’esigenza dell’adolescente in particolare. Ho come l’impressione, sostenuta dalla mia formazione e dall’esperienza personalmente vissuta, che gli adolescenti di oggi che vivono all’interno delle nostre scuole chiedano agli adulti di aiutarli a crescere, ritornando a essere punti di riferimento fermi e stabili, a mostrarsi veri uomini e vere donne e non adulti che vogliono assomigliare ad adolescenti con l’illusione di piacere di più, o di comprenderli meglio. Ho spesso la sensazione che i ragazzi guardino i professori che apprezzano maggiormente per cercare di capire come loro stessi potrebbero diventare “da grandi”, piuttosto che per ritrovare somiglianze nel modo di vestire o di atteggiarsi.
I ragazzi manifestano frequentemente l’esigenza di avere regole, magari mascherate da altro, o chiamate con nomi differenti, ma che li aiutino ad assumere un ruolo, a costruirsi una identità. Spesso alcuni insegnanti mi raccontano di ragazzi che provocano l’intervento dell’adulto, che cercano il richiamo o l’attenzione del docente e che manifestano segni di disagio, finché l’adulto non fa esattamente ciò che ci si aspetta da lui, cioè pone dei limiti, restituisce a ognuno un proprio ruolo.
Quando manca l’educazione alle regole, quando non è presente nemmeno la percezione dell’esistenza stessa delle regole, le reazioni dei ragazzi si affidano a una serie di variabili che ostacolano sia la costruzione di una relazione tra insegnante e alunno, sia la formazione di certezze rispetto alla propria identità. Ad esempio, basti pensare allo sguardo disorientato di alcuni alunni quando, ricevendo una valutazione o semplicemente un giudizio non formale da parte di un insegnante, scoprono che ciò che loro credevano di essere non corrisponde per nulla a quello che l’insegnante, e spesso anche i compagni, pensano di loro.
Ragazzi che pensano di essere molto simpatici, si accorgono di aver offeso o ferito più volte gli altri; ragazzi che si aspettano giudizi positivi cadono dalle nuvole quando li si informa che, pur intelligenti, hanno comportamenti scorretti che influenzano negativamente i loro giudizi e, infine, intere classi che rimangono a bocca aperta nello scoprire come persino il loro professore preferito, con il quale hanno sempre riso e scherzato non li considera maturi, ma ancora dei ragazzini con i quali è impossibile dialogare.
Da queste e altre esperienze simili si intuisce come gli adolescenti necessitano di conoscere sulla base di quali parametri vengono giudicati, non solo per migliorare il loro rendimento, ma soprattutto per sviluppare consapevolezza rispetto alla percezione che gli altri hanno di loro.
Solo grazie a tali certezze riescono a costruire progressivamente la loro identità, colgono con chiarezza quali siano le regole che devono guidarli nella società e quali i limiti oltre i quali questa loro identità rischia di non essere adeguatamente percepita. In assenza di questa educazione alle regole, l’adolescente non riesce a comprendere il funzionamento della società, i suoi valori.
Moti ragazzi faticano addirittura a integrarsi in essa e talora sembrano disinteressati a far parte di una società che, per loro, non ha regole. Adolescenti non abituati ai limiti diventano ragazzi intolleranti, aggressivi, poco rispettosi di sé e degli altri e per questo insoddisfatti.
Non interiorizzando norme e valori, sono guidati dal principio del piacere immediato, incapaci di investire su relazioni a lungo termine, di fare sacrifici che portino, nel tempo, a soddisfazioni maggiori. I ragazzi hanno la necessità di imparare a trarre soddisfazioni dal rapporto con gli altri, una soddisfazione basata sul riconoscimento dei limiti che, nel contenerli come adolescenti, li valorizzino come persone, facendo in modo che l’amico, l’adulto, il professore siano percepiti come un sostegno esterno nel loro processo di crescita e di formazione.
Lo scopo ultimo del progetto la Strada Maestra è l’uomo che lo studente deve diventare, non il ragazzo. Ai genitori e agli educatori compete la grave responsabilità di educare i giovani a capire il ruolo che essi avranno nella società del futuro e di dar loro gli strumenti necessari ivi compreso la capacità di cogliere, interiorizzare e rispettare le regole sottese, affinchè siano in grado di assumerle con competenza e fedeltà.
Dalla mia esperienza nelle varie istituzioni scolastiche, partner del progetto, ho avuto modo di constatare che gli alunni, molto spesso, non si oppongono alle regole che stanno alla base della relazione educativa, ma ne ignorano quasi completamente l’esistenza, dimostrando di non accorgersi quando assumono atteggiamenti che ostacolano i rapporti con insegnanti e compagni, o compromettono il sereno trascorrere della vita scolastica (ed extra-scolastica). Per questo l’esigenza di fornire un’educazione non “al rispetto delle regole”, ma “alle regole” in senso generale, dovrebbe essere, anzi è, un’esigenza oggi sentita da parte di tutta la comunità: genitori, insegnanti e alunni.

E’ preferibile un ragazzo che si oppone alle regole e sceglie di sfidarle, rispetto a un adolescente che non conosce le norme e i limiti presenti nella società, per cui si comporta come se non facesse parte di una collettività, ma vivesse isolato, guidato solo dall’istinto di sopravvivenza individuale.
Lo sviluppo di soggetti caratterizzati da un simile modo di pensare e di comportarsi segna la fine della società, la scomparsa del proprio ambiente relazionale e affettivo in favole dell’individualismo e, ancor peggio, dell’isolamento e dell’emarginazione.
Dall’esigenza di educare alle regole potrebbe nascere il rischio di scegliere la strada dell’autoritarismo, fissando dei limiti, imponendo il rispetto di norme, dimenticando che le regole in campo educativo non sono il fine, ma un semplice mezzo. Esiste una sottile linea di confine tra scelte di intervento autoritarie, il cui scopo è impedire la trasgressione di una regola, e scelte di intervento motivate dalla prospettiva di sostenere i ragazzi nell’educazione alle regole.
Tra uno stile autoritario puro, il cui fine è la tranquillità dell’ambiente, l’eliminazione di ogni possibile occasione di scontro, confronto, dialogo, e uno stile lassista, il cui obiettivo, non è molto diverso da quello appena descritto (ricordiamo l’accondiscendenza di molto genitori e insegnanti nei confronti dei ragazzi per paura di rompere il clima di serenità e pace costruito sulla base di concessioni indiscriminate nei loro confronti), esiste una terza via, quella degli interventi mirati a sostenere lo sviluppo di una capacità/competenza consapevole di comportamenti liberi e allo stesso tempo positivi. Si tratta di fornire, attraverso la relazione educativa, strumenti e strategie per passare dall’accettazione passiva di un limite all’interiorizzazione del valore etico di una regola.
In effetti, la finalità dell’accompagnamento sociale previsto dall’Azione 3 è quello di far in modo che i ragazzi giungano a decidere di comportarsi correttamente per intima convinzione, piuttosto che solo per evitare punizioni o richiami per essersi comportati in un modo che altri, per un motivo spesso incomprensibile per i ragazzi, ritengono scorretto.
Quindi, quando si parla di educazione alle regole non è educazione al loro rispetto, quanto sviluppo di competenze legate al successo nell’inserimento e integrazione dei ragazzi nel proprio ambiente sociale, prima ancora che professionale.
La scuola, per preparare professionalmente i ragazzi, deve loro garantire la possibilità di possedere tutte quelle competenze di base, compresa quella etica, fondamentale per crescere come “veri uomini” e “vere donne”; deve rafforzare ed educare la volontà, piuttosto che limitare la libertà d’azione: solo così assolve la sua funzione formativa.


STRUMENTI DI LAVORO

Registro di presenze e delle attività
Attività psicoeducative
Gioco con le carte dei conflitti
Gioco dei pregi e difetti
Test di valutazione del disagio e della dispersione scolastica
Gruppi di discussione con la tecnica del circle-time e del cooperative learning
Consulenze


TEMPI
19 Settembre 2009- 18 Maggio 2010

Data Dott.ssa Rosa Casaburi
21-05-10 (Psicologa-Psicoterapeuta)

lunedì 24 maggio 2010

martedì 18 maggio 2010

“Laboratorio sul Volontariato in Ambito Sociale”

In ottemperanza a quanto stabilito dal partenariato con l’Associazione Arcipelago Onlus, la Cooperativa Novella Aurora ha organizzato e gestito, nell’ambito dell’Azione 5 –Tutti Insieme, il Laboratorio sul Volontariato in Ambito Sociale.

PARTECIPANTI
Il gruppo di partecipanti era costituito da 26 persone di età variabile tra i 24 ed i 55 anni, residenti nei comuni di Villaricca e Giugliano in Campania. Delle 26 persone, 15 dipendenti della cooperativa Novella Aurora ed 11 esterni. Il gruppo si è dimostrato compatto ed attento per tutta la durata del corso; la partecipazione è stata piena e consapevole, compatibilmente con gli impegni lavorativi di ognuno dei discenti. Gli allievi si sono particolarmente appassionati ad alcune argomentazioni, quali le difficoltà tra la cooperazione (realtà nella quale molti di loro lavorano) e il puro volontariato, la legislazione avente ad oggetto le prestazioni volontarie e l’associazionismo, il volontariato in altri paesi. Sempre attenti e consapevoli del loro ruolo, hanno partecipato con sincero entusiasmo alle attività, collaborando attivamente alla stesura del programma ed aiutando a gestire la calendarizzazione delle lezioni sulla base delle esigenze dei servizi della cooperativa e più in generale sulla base delle esigenze lavorative di ognuno, docente compreso. Gli interventi in aula sono stati sempre pertinenti e puntuali, così come si è ben strutturato il rapporto tra docente ed allievi.

ARGOMENTI DELLE LEZIONI
Gli argomenti svolti durante il corso hanno spaziato dalla mera definizione di volontariato alla sua concreta e puntuale coniugazione quotidiana. Si è affrontato in particolare il significato intrinseco dell’attività del volontario esplicitata nelle varie realtà nazionali ed internazionali. Si è quindi parlato dell’associazionismo, della cooperazione sociale, della cooperazione internazionale; si è affrontata la legislazione nazionale sul volontariato e le sue implicazioni locali, così come è stato declinato un quadro completo della legge 328/00 e delle sue quotidiane applicazioni nella materia oggetto del corso. Molto interesse da parte dell’aula è stato destato dalle lezioni che hanno avuto ad oggetto le attività di volontariato e le modalità di gestione delle stesse in altri paesi, europei e nord americani. Si manifesta in questa relazione il rammarico per il tempo limitato che si è potuto dedicare alle attività di volontariato che vengono poste in essere attraverso i progetti di cooperazione internazionale, gestiti dal nostro ministero degli esteri attraverso associazioni e cooperative che lavorano in paesi in via di sviluppo.

LE POSITIVITA'DEL CORSO
Tra le positività del corso svolto, vanno sicuramente annoverate:
• Le relazioni interpersonali createsi durante lo svolgimento del corso stesso;
• L’attenzione attiva dimostrata dagli allievi;
• La partecipazione costante e continuativa degli stessi;
• La complessità delle argomentazione e la contestuale facilità di apprendimento degli allievi;
• L’omogeneità delle lezioni;
• La flessibilità oraria;
• Il sincero entusiasmo della platea.

PUNTI DI CRITICITA'
• Necessità di far combaciare necessità lavorative dell’aula con giorni ed orari di lezione;
• Scarse risorse temporali;
• Eterogeneità, per formazione scolastica e culturale, dell’aula.

CONCLUSIONI
L’esperienza è stata sicuramente positiva, sia per ciò che concerne la parte puramente didattica sia per l parte umana. Dal punto di vista didattico, è stato importante il poter concedere ad operatori sociali e a persone semplicemente interessate allo stesso mondo, la possibilità di poter approfondire conoscenze utili se non necessarie. Concedere la possibilità di poter tornare ad apprendere è stato importante, tanto più in territori come i nostri, vessati e stuprati dall’avidità e dalla sottocultura. Ci si augura vivamente che esperienze del genere possano tornare a porsi in essere; sia per la costante formazione della popolazione interessata, sia per concedere la possibilità di divulgare tali tipi di conoscenza. Eduardo Chianese

lunedì 17 maggio 2010

Relazione delle attività di “Orientamento” svolte nell’I.C. Pascoli 2

La progettazione esecutiva delle attività di Orientamento, in riferimento agli obiettivi e ai contenuti dei singoli incontri effettuati con i ragazzi, è stata realizzata dai docenti dott. Giuseppe De Costanzo, sociologo, e la sottoscritta dott. Paola Guglielmi, psicologa, con la prof. Maria D’Adamo, referente del progetto per l’Istituto Comprensivo Pascoli 2, del quartiere Secondigliano di Napoli, coerentemente con l’obiettivo di adeguare la proposta alle reali esigenze dei ragazzi delle classi III in merito alla scelta del loro futuro scolastico e professionale.
Destinatari della proposta sono stati gli allievi di quattro classi III, due del plesso centrale, situato nel quartiere Secondigliano di Napoli, Rione dei Fiori, due della succursale, sita sempre in Secondigliano, in via Cupa dell’Arco.
Il gruppo dei destinatari ha una composizione piuttosto eterogenea in relazione alla provenienza socio – culturale e, soprattutto nel caso di una delle due classi della sede centrale dell’istituto, la frequenza dei ragazzi a scuola non è sempre continuativa e costante. Ciascun gruppo ha rivelato caratteristiche specifiche per la qualità delle relazioni interne, a volte più solidali e coese, altre volte più frammentate in sottogruppi, e per il tipo di rapporto instaurato con l’autorità, a volte più disponibile, altre più provocatorio e diffidente. La partecipazione alle attività proposte, anche quando i ragazzi erano presenti, ha richiesto la costante ri-motivazione e continue sollecitazioni da parte dei docenti sia interni che esterni. In generale, i ragazzi hanno accolto con entusiasmo e disponibilità l’intervento degli esperti, soprattutto perché consapevoli della loro profonda difficoltà ad intraprendere una scelta complessa e determinante nella loro vita, quale quella del percorso di studi. Nello svolgimento delle attività, è stato comunque necessario ricordare ai ragazzi l’importanza dell’obiettivo finale e sostenere e facilitare il loro impegno alla partecipazione con la proposta di attività pratiche, finalizzate alla realizzazione di prodotti concreti (cartelloni, schede, brevi ricerche, attività di piccolo gruppo con esposizione dei risultati delle discussioni).
La metodologia utilizzata per lo svolgimento delle attività ha tenuto conto sia delle caratteristiche della platea cui esse erano indirizzate, sia dello spirito con cui esse si collocano nella più ampia proposta progettuale, ovvero quello di comprendere ed approfondire le motivazioni profonde, personali e familiari, psicologiche e sociali che inducono nei ragazzi uno scarso senso di attaccamento allo studio e un disinvestimento rispetto al proprio futuro, da una parte, e rinforzare gli elementi personali e collettivi che si propongono come risorsa nel sostenere il percorso di crescita dei ragazzi, dall’altra. Pertanto, si è puntato su una metodologia che, mettendo in contatto i ragazzi con i loro desideri più profondi, li coinvolgesse in un percorso di maggior comprensione delle proprie qualità e risorse e nella ricerca attiva delle “strade” più opportune e percorribili, date le loro attitudini, per raggiungere l’obiettivo della loro autorealizzazione. La metodologia ha compreso lavori in piccolo gruppo, discussioni, giochi, oltre a momenti informativi in setting più frontali.
Il programma delle attività ha previsto, innanzitutto, la facilitazione di uno stile di comunicazione più profondo e autentico di quello al quale sono abituati i ragazzi in classe, costantemente ironico e spesso provocatorio, anche dove sussistono all’interno del gruppo relazioni di amicizia significative. In secondo luogo, si è cercato di scomporre e analizzare singolarmente gli elementi che compongono la scelta della scuola superiore: attitudini per materie specifiche, valori perseguiti nell’impostare il proprio presente e progettare il proprio futuro, sogni infantili, principali aree di interesse e di attività, occasioni concrete ed esigenze pratiche di vicinanza/raggiungibilità/orari.
La terza fase ha contemplato l’informazione quanto più possibile completa e accurata sulle varie tipologie di scuola, naturalmente aggiornata ai cambiamenti introdotti dalla cosiddetta riforma Gelmini sull’ordinamento della Scuola Superiore.
La quarta fase, che ha coinciso con la pratica delle iscrizioni da parte dei ragazzi presso la scuole scelte, ha compreso una restituzione in gruppo a ciascun partecipante sulla scelta consigliata a seguito del percorso di analisi delle attitudini, delle qualità personali, dei valori, delle aspirazioni.
La quinta ed ultima fase ha riguardato la ricerca e la condivisione di informazioni specifiche e dettagliate sui singoli istituti individuati nell’ambito territoriale di riferimento dei ragazzi. Le informazioni hanno riguardato: localizzazione spaziale e raggiungibilità, principali materie, corsi attivati, progetti extracurricolari, dotazione strumentale delle sedi.
Nella maggior parte dei casi le scelte suggerite hanno coinciso con quanto poi deciso dagli studenti, e questo elemento ha rappresentato un valido sostegno per la motivazione dei ragazzi a perseguire con entusiasmo e convinzione la scelta effettuata.
La maggiore difficoltà incontrata probabilmente consiste nella percezione dello scarso interesse che i ragazzi manifestano, non tanto per le attività, alle quali hanno aderito talvolta con entusiasmo, talvolta con maggiore apatia, ma nei confronti di se stessi: essi sembrano prendere poco sul serio o credere poco nelle loro qualità, come anche nei loro desideri, disillusi, demoralizzati, già avviliti dalle difficoltà, dai fallimenti, dai compromessi che percepiscono come condizione insita nell’essere adulto e che sicuramente si prospettano come inevitabile anche nel loro futuro. Il messaggio che genericamente e, spesso, irresponsabilmente gli adulti trasferiscono ai più giovani è un senso di sfiducia, di scarsa speranza, e di inevitabilità del fallimento, della sconfitta o della difficoltà nel realizzare i propri sogni, soprattutto in contesti in cui il disagio sociale è diffuso come in quello in cui si colloca questo intervento. Pur riconoscendo che la difficoltà è un aspetto ineludibile dalla condizione stessa di esser umani, è importante rinforzare la fiducia che, con l’impegno e le responsabilità, i giovani possano non solo realizzare i loro desideri, ma anche contribuire a migliorare qualcosa dell’ambiente che li circonda. La risorsa principale, pertanto, rappresentata da una proposta come quella descritta, risiede nell’opportunità offerta ai ragazzi di creare uno spazio in cui essi possano condividere tra loro e con adulti disponibili timori, perplessità, desideri, aspettative relative al proprio futuro, in cui si possa parlare del futuro senza dare per scontato che i propri obiettivi siano irraggiungibili. Il messaggio alternativo che si è voluto offrire è che qualsiasi percorso richiede impegno, compartecipazione al destino comune, interesse per il proprio benessere e per quello altrui, coerenza con i propri valori personali, ma anche con le proprie scelte e i propri sogni. Paola Guglielmi

giovedì 13 maggio 2010

Relazione del percorso “Mai più soli”


Progetto "La Strada Maestra". L’I.C. “Pascoli 2” opera su tre sedi (plesso Marta Russo, plesso Carbonelli, plesso Cupa dell’Arco) e si trova nella periferia di Napoli nord, una zona interessata da fenomeni delinquenziali e fortemente disagiata sotto l’aspetto socio-economico. I bisogni formativi dell’ambiente tendono a un modello comportamentale orientato alla legalità.
Il percorso “Mai più soli” di cui mi è stato affidato l’incarico di docente interno nell’ambito del Progetto” La Strada Maestra”, è stata una risposta puntuale ai bisogni della comunità scolastica. Il corso è stato articolato in 25 incontri (totale 50 ore) che si sono tenuti nel plesso “Carbonelli” e nel plesso “Marta Russo”. L’azione, finalizzata al sostegno della genitorialità, ha posto l’attenzione ai problemi di educazione familiare valorizzando il ruolo della famiglia quale elemento basilare dello sviluppo psico-fisico dei ragazzi. L’obiettivo prioritario è stato quello di promuovere la consapevolezza che i genitori costituiscono una risorsa preziosa nella prevenzione della dispersione scolastica , riconoscendo l’influenza dei comportamenti genitoriali nella crescita della persona.
In collaborazione con il dott. Caprino ho cercato di sensibilizzare i genitori partecipanti sulla necessità della cultura, quindi della scuola, come pre-condizione per il riconoscimento della propria dignità umana e civile; la scuola allontana i ragazzi dalla strada e dalla microcriminalità, offre un ambiente ospitale che contribuisce allo sviluppo della persona in tutte le sue dimensioni ; a scuola i ragazzi sviluppano l’autostima e il senso di appartenenza alla comunità cittadina. Invece in un contesto fortemente disagiato, la scuola è posta dalla famiglia all’ultimo gradino della scala dei valori , ignorando che essa costituisce il fondamentale presupposto per l’inserimento nella società. Ho cercato di trovare attraverso un clima sereno ed amichevole frequenti momenti di discussione –confronto sulle problematiche familiari più scottanti. Durante gli incontri, anche i genitori culturalmente e socialmente più svantaggiati hanno avuto la possibilità di conoscere gli atteggiamenti più positivi e incoraggianti verso i figli; hanno avuto la possibilità di apprendere come “la promozione di azioni positive” migliorino la qualità delle relazioni interpersonali e la vita quotidiana riducendo potenzialmente le situazioni di rischio.
Le varie tematiche affrontate, le attività proposte, hanno indotto sicuramente tutti i genitori partecipanti alla riflessione che costituisce il punto di partenza di ogni potenziale cambiamento. Ho infine mirato a promuovere la circolarità della comunicazione in maniera tale che tutti potessero esprimere la propria opinione e mettersi in discussione. Il mio ruolo, supportato dalle competenze professionali e specialistiche del dott. L. Caprino che mi ha affiancato in 12 incontri, è stato essenziale non solo come conduttore esperto, infatti si è caratterizzato spesso come facilitatore della comunicazione favorendo l’ascolto attivo ed evitando distorsioni comunicative come moraleggiare, minacciare, intimidire, ordinare etc. Inoltre, in qualità di Funzione Strumentale (Area 3 –sostegno alunni:disagio sociale e dispersione scolastica. Area 4 – rapporti con enti locali), ho supportato i percorsi “Accompagnamento sociale per i ragazzi a rischio” e il “Laboratorio di orientamento e formazione”.
Nel primo percorso i ragazzi con alto disagio sono sono stati inseriti in itinerari tesi all’inclusione scolastica e sociale; il secondo, invece, ha mirato a sviluppare negli alunni delle classi terze la consapevolezza delle scelte future. Valida ed efficace si è rivelata la mediazione educativa svolta dagli operatori esperti all’interno dei gruppi classe. Le esperienze realizzate possono ritenersi positive e soddisfacenti e senza fare retorica, rafforzano la necessità di ulteriori azioni educative , per collocarsi in una prospettiva di formazione e prevenzione che costituisce un investimento, anche se a lungo termine, della società. La docente Prof. Maria D’Adamo Istituto Comprensivo Pascoli II Napoli (quartiere Secondigliano)

lunedì 10 maggio 2010

Chi sostiene gli educatori???

Qualche giorno fa parlavo con un’insegnante che, riferendosi ad alcuni episodi relativi al comportamento di alcuni suoi colleghi, mi diceva “la vedi la mia mano??? Le dita non sono tutte uguali!!!!”

In effetti aveva ragione!!!! Come in ogni categoria, esistono non solo i lassisti, quegli insegnanti che hanno tentato il concorso solo per avere la sicurezza del posto statale, ma anche coloro che si impegnano con passione, cercano di essere autorevoli, di assumersi la responsabilità di essere prima di tutto degli educatori. Il mio pensiero è rivolto a loro, che spesso si fanno portavoce di un bisogno: essere ascoltati, sostenuti, aiutati a poter comprendere i comportamenti dei loro ragazzi, per i quali si impegnano, per i quali si battono e si fanno in quattro.

Chi sostiene questi educatori, in una società in cui alla scuola, spesso isolata e senza fondi, viene delegata totalmente la responsabilità educativa??

Allora ben vengano i progetti che sollevano bisogni, dubbi, interrogativi, anche se la speranza sarebbe quella di una presenza obbligatoria, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, di una equipe psicoeducativa che possa sostenere in maniera continuativa il personale docente e non, i ragazzi e le loro famiglie, affinché tutti possano avere uno spazio, in cui sanno di poter essere adeguatamente accolti.

Mi auguro che questo mio desiderio possa realizzarsi. Nel frattempo andiamo avanti, godendo dei privilegi che la nostra professione ci offre: un grazie, un sorriso, un gesto, un disegno, un messaggio scritto su foglietto, che possono illuminarti la giornata. Valentina Ferrara

martedì 4 maggio 2010

Adattamento, disagio o creativita’?

Sarà vero che gli adulti ed i giovani sono soli, in uno stato di incomunicabilità e di isolamento dal mondo, che sono privi di futuro, che soffrono rispetto al loro destino, che avvertono e vivono un’inerzia conformista (Galimberti, 2007) e che, tra le forme di vuoto esistenziale, quest’ultima sia la più diffusa? L’assenza di prospettive e scenari praticabili per costituie una identità riconoscibile nell’ambiente umano che conseguenza comporta nello sviluppo personale? Si direbbe che privare il giovane del futuro, comporti mortificare l’anima, il talento, la speranza, il desiderio di migliorarsi e di costruire una identità. Quando un giovane percepisce un'attività privata del suo scopo ciò significa privare chi vi prende parte di un vero rapporto con il futuro, e, senza futuro, l'agire si muove in quell'orizzonte senza tempo che si muta in un agire senza senso, a vuoto, pura risposta alle richieste dell'apparato. E ciò non è dissimile dalla rigida risposta che ogni animale offre agli stimoli che provengono dal suo ambiente esterno.
Quando massima è la forza biologica, emotiva e intellettuale dei giovani (tra i quindici e i venticinque anni), questi giovani vivono parcheggiati in quella terra di nessuno in cui la famiglia non svolge più alcuna funzione e la società alcun richiamo.
I giovani vivono il tempo come vuoto mentre l'identità non trova alcun riscontro, nessun senso di sé, si smarrisce, l'autostima deperisce.
Ma che ne è di una società che fa a meno dei suoi giovani e della creatività? È solo una faccenda di spreco di energie o il primo sintomo della sua dissoluzione? Forse l'Occidente non sparirà per l'inarrestabilità dei processi migratori, contro cui tutti urlano, ma per non aver dato senso e identità e quindi per aver sprecato le proprie giovani generazioni.
Credo che i giovani oggi sembrano riconoscersi per il loro basso livello di autoconsiderazione, per la loro sensibilità precaria, incerta, gracile, introversa, indolente, per la loro inerzia provocata da un'eccessiva esposizione agli influssi della televisione, dalla comunicazione globale e di Internet. Immersi in un universo che non offre occasioni e scenari praticabili per costruirsi un futuro sembrano esser posseduti da un'unica preoccupazione costante: procurarsi un'incredibile quantità di tempo libero per assaporare fino in fondo l'assoluta insignificanza del proprio peso epocale, per provare l’ebbrezza del non aver un orizzonte certo, per non aver un futuro praticabile. Di qui le frequenti fughe, forse, nella rete, nell’era virtuale del social network, nei rapporti invisibili, nel sogno e nel mito. Un viaggio privo di slanci già alla partenza.
Un viaggio in un'identità venata dalla nostalgia relativa all'impossibilità di reperire radici proprie, una base esistenziale, una identità solida. Per questi giovani le cose del “mondo” sono fuori nell’universo e a disposizione prima ancora di averle desiderate. Sono al limite del sogno e della speranza, alla portata di un mouse. Ma su questa tipologia nuova di inerzia, caratterizzata da una rassegnazione contenuta descritta come "tipologia degli abbastanza" (con riferimento a quei giovani che vanno abbastanza d'accordo con i loro genitori, i quali concedono loro abbastanza libertà, etc.) si può intervenire con strumenti psicosociali oppure occorre affidarsi alle istituzioni tradizionali (scuola, famiglia, parrocchia, ecc.)? Insomma quali prassi sono possibili, quali strumenti critici e forme di relazioni umane possono servire. Si coglie così la portata del danno che gli adulti, a livello generazionale, hanno saputo creare in questi anni. Adulti che hanno, senza neanche minimamente cogliere la portata del fenomeno giovanile, delegato ad altri oggetti e forme, la responsabilità di creare dei legali sociali e umani. Una generazione di adulti che hanno sperimentato i processi di delega nei rapporti con i giovani, i figli, fuoriuscendo dal ruolo di educatori attivi, responsabili, critici, rigorosi.
E, allora, pare a tratti anche ovvio che i giovani hanno abbastanza voglia di diventare precocemente adulti anche se, a tratti, non troppo in fretta. Vogliono fuoriuscire dal quel mondo che vivono male, che hanno “letto” male, che hanno sperimentato osservando i genitori, tutti gli errori dei genitori distratti dal nuovo processo globale delle relazioni umane. Nessun progetto per il futuro anche perché non ci sono abbastanza opportunità, nessun ideale da realizzare perché non ce ne sono di abbastanza coinvolgenti.
Ma questi giovani hanno un peso e una valenza di mercato prima ancora che di identità. Sono oggetti da perseguire per il mondo dei consumi. Su di essi si concentrano le nuove aree di profitto e la pubblicità, la produzione dell'abbigliamento e le agenzie di viaggio e, soprattutto l'industria del divertimento. Molti genitori e molti insegnanti neppure s'accorgono che quei giovani non avvertono alcuna corrispondenza tra quanto si apprende e quanto s'intravede nella vita di fuori. A nessuno è data la possibilità di scegliere l'epoca in cui vivere, né la possibilità di vivere senza l'epoca in cui è nato, non c'è uomo che non sia figlio del suo tempo e quindi in qualche modo omologato.
Accade però che, rispetto alle epoche che l'hanno preceduta, la nostra è la prima a chiedere l'omologazione dei giovani e a costringerli a vivere in una terra di mezzo, una area di parcheggio rispetto al viaggio del destino.
Il "vuoto" conduce al nichilismo e alla speranza delusa circa la possibilità di reperire un senso, un percorso possibile. Si tratta di una inerzia in ordine a un produttivo darsi da fare. Si tratta di vivere in un contesto di sovrabbondanza e opulenza di stimoli “globali”, che conducono ad uno stato, a tratti, di anestesia sociale, di indifferenza di fronte alla gerarchia dei valori. Uno stato di noia senza poesia e di incomunicabilità.
Tutti questi fattori scavano un terreno dove prende forma quel genere di solitudine che non è la disperazione ma una sorta di assenza di gravità di chi si trova a muoversi nel sociale come in uno spazio in disuso.
Nascono da qui gesti e mode giovanili che non diventano stili di vita, costrutti, strade di idee innovative ma piccole azioni che si esauriscono nei gesti “inutili” per l’anima, progetti di vita che si dileguano velocemente tra i sogni, tappe inconcluse di un eterno disordine umano. Dr. Giuseppe Errico.

lunedì 26 aprile 2010

Riflessioni Personali...

L’accompagnamento sociale come processo di educazione emotiva e affettiva-relazionale, promozione del benessere psico-fisico e prevenzione del disagio

Nel corso di questo entusiasmante viaggio chiamato “La strada maestra”, ricco di emozioni e di momenti riflessivi, ho sentito, spesso, definire i giovani come persone che non hanno valori. Dalle “valutazioni” altrui intrise di giudizi, sembrerebbe, parafrasando Nietzsche che i giovani siano “affetti da nichilismo” inteso come volontà del nulla, come negazione dell’esistenza di valori o di realtà comunemente ammessi. Più propriamente il termine veniva usato dal filosofo per indicare il prevalere di un atteggiamento contrario alla vita. Io non sono d'accordo con tale “visione altrui”, i miei occhiali mi hanno consentita di oltrepassare il muro del pregiudizio, di andare oltre i confini che i giovani facilmente tendono a tracciarsi, di sciogliere il ghiaccio dei loro cuori, di leggere le loro fragilità, le loro paure, di accoglierli e accettarli così come sono con tutte le imperfezioni dei loro vissuti. Non credo che i ragazzi non abbiano valori, credo, piuttosto che i ragazzi abbiano bisogno di imparare ad entrare in contatto con le proprie emozioni, a riconoscerle e soprattutto ad esternarle in modo adeguato e soprattutto con chi sappia accoglierle e contenerle senza spaventarsene o respingerle.

Il termine emozione deriva dal latino "ex-moveo", che significa 'muovere-fuori, uscire, sgorgare', l'etimologia della parola richiama quindi un movimento che da 'dentro' va verso 'fuori'. Nel corso della mia esperienza formativa e lavorativa ho avuto modo di acquisire che l'emozione nasce nella relazione con l’altro, nel rapporto con l'esterno. Se consideriamo la nostra storia dal punto di vista delle vicissitudini emozionali, possiamo vedere come anche il nostro modo di vivere, sentire, mostrare le emozioni sia il prodotto di un insieme di atteggiamenti acquisiti nell’educazione ricevuta e nelle esperienze della vita.

Osservando un bambino di alcuni mesi o un anno possiamo notare l'intensità con cui interagisce con l'ambiente: quanta concentrazione nei giochi, quanta forza e decisione nelle manifestazioni di rabbia, quanta tenerezza nell'abbracciare o nel lasciarsi coccolare, quanto abbandono prima di addormentarsi. Il bambino infatti vive la vita (ovviamente quando ciò gli è concesso, vista la sua estrema dipendenza dagli adulti) in modo molto intenso e globale: ciò che pensa è strettamente collegato a ciò che prova, vede, sente, in una situazione di equilibrio tra sensazione, emozione, pensiero e azione. Crescendo, con lo sviluppo del pensiero, del ragionamento, della funzione simbolica, della fantasia, le cose si fanno molto più complesse, il bambino si appropria degli atteggiamenti di coloro che si prendono cura di lui e spesso questo equilibrio viene meno. Presto impara quali manifestazioni vengono accettate dagli adulti, quali gli è concesso di mostrare e quali no, quali sono i modi con cui può esprimersi, ecc.

In questo complesso gioco di desideri, bisogni, permessi, autorizzazioni, divieti, rifiuti, assensi e dissensi, gradualmente prende forma il carattere di una persona, vale a dire l'insieme dei suoi modi caratteristici e ripetitivi di comportarsi. Abbiamo così persone che non si arrabbiano mai, cioè non esprimono mai la rabbia apertamente, persone che ridono molto raramente, persone perennemente impaurite, proprio perché insieme al carattere, anche le modalità di espressione delle emozioni vengono acquisite nella propria storia evolutiva, nell'educazione, fin da molto piccoli. In effetti si afferma che vi sono forti tendenze nella società moderna che privilegiano l'aspetto immaginativo della vita, il cognitivo a scapito di altri aspetti quali gli affetti, le sensazioni fisiche, il contatto umano, la relazione.
Benessere non significa assenza di emozioni forti o dolorose, ma poter vivere pienamente le emozioni congrue alle situazioni di vita, siano esse rabbia, aggressività, tenerezza, paura, abbandono, tristezza, ecc..

Le emozioni spesso non trovano espressione nella nostra quotidianità, vengono represse oppure ingrandite nell'espressione immaginaria o fantastica; così si riduce di molto la capacità e le possibilità di una vita intensa, di un profondo rapporto umano con le persone e con la realtà esterna, cosa che rappresenta spesso un fattore facilitante o causa esso stesso di disagio, malessere, disturbi di vario tipo o patologie. Ed è per questo che penso, sempre di più, che l’accompagnamento sociale come processo di educazione emotiva e affettiva-relazionale vada introdotto nelle scuole a partire dalle scuole materne come parte integrante della didattica accanto all'insegnamento della storia, delle scienze, per prevenire, curare e guarire le future generazioni. Ed è stato questo il senso dell’accompagnamento sociale del progetto la Strada Maestra. In particolare il mio obiettivo specifico come psicologa è orientato alla promozione dell’acquisizione di consapevolezza e capacità di autoregolazione delle proprie emozioni, per la conoscenza e l’approfondimento dei principali aspetti del comportamento sociale affinché ci possa essere il riconoscimento della vera libertà basata sui valori e sul senso di responsabilità, in particolare, è indispensabile promuovere attraverso l’educazione alle emozioni la progressiva maturazione delle abilità emotive e sociali e dell’autonomia di giudizio e di scelta soprattutto in un tessuto sociale ricco di miti difficili da sfatare ma certamente non impossibili. Rosa Casaburi

lunedì 12 aprile 2010

ANCORA CINEMA


Il corso di cinema e diritti alla scuola Piscopo di Arzano continua anche se, nelle sue fasi conclusive, il tempo  è troppo poco per una più corretta dinamica generale sul mondo del “volontariato visivo”. Diversi studenti si sono totalmente appassionati al discorso diritti umani nel cinema, proponendo alcune “sceneggiature” che riguardano il loro mondo più da vicino, considerando le problematiche familiari, relazionali e sociali. Il vantaggio di parlare di temi “altri” ci da la conferma che il mondo dei giovani cammina autonomamente, nell’interesse proprio, nell’interesse di crescere più in fretta,  di farsi vedere, sentire, di costruire.  Oggi il corso ci da l’opportunità di conoscerci meglio, di concepire dal di dentro le situazioni, le preoccupazioni, le gioie uniche, irripetibili, che insegnano, si fanno carico dei problemi, delle aspettative che gli alunni immaginano nel loro percorso di studi. Il corso per i servizi sociali intersecandosi con il contributo del cinema come volontariato che denuncia, guarda, segnala, fa rivivere l’interesse per la scuola come accompagnamento introduttivo alle dinamiche di giustizia, valore, impegno e rispetto. [A.C.]      

venerdì 9 aprile 2010

martedì 6 aprile 2010

cinema e scuola


Il corso alla scuola Ludovico da Casoria è terminato la settimana scorsa. I bambini di 10, 11, anni hanno seguito ogni martedì per due ore di seguito il corso di sceneggiatura cinematografica. Nell’ambito del progetto scuole aperte, in classe c’erano più di 20 alunni che alla fine si sono divisi in tre gruppi di lavoro. Abbiamo iniziato con la visione di alcuni film e cortometraggi. Poi continue discussioni in classe sui problemi attuali, sulla storia, sulla vita. Le riflessioni più straordinarie sono uscite direttamente dai bambini che attratti dal mondo “televisivo” hanno scoperto che la realtà è anche altra. Il gruppo ha discusso, ascoltato, commentato e si è organizzato per il finale. 

I tre esponenti dei tre gruppi di lavoro hanno scritto una relazione finale. La cosa più sorprendente è che ogni gruppo ha presentato la sua sceneggiatura cinematografica scritta e corretta. In fine si sono organizzati per rappresentarla così come su di un set di un film. L’entusiasmo è salito quando a fine corso abbiamo prospettato che forse l’anno prossimo realizzeremo un vero cortometraggio filmato. I tempi scelti senza l’ausilio dei docenti sono stati: il bullismo, la camorra e l’amicizia. Molti hanno espresso il parere di continuare il corso, di vederci anche fuori, ma per adesso aspettiamo li mese si maggio, quando saranno interpretate nella sala teatro della scuola i soggetti scritti dai tre gruppi. [A.C.]      

giovedì 1 aprile 2010