domenica 7 febbraio 2010

Sulla persona prevalente che ci tiene in ostaggio

"Il superamento dell'angoscia nevrotica è, anche, svincolo intelligente dall' obbligo della recita della parte meno favorevole" (Piro S. 200l).
Se si postula una continuità ininterrotta fra ciò che accade dentro di noi (“coscienza riflettente”) e l’esterno (“campo antropico”: sociale, ambientale, fisico, ecc.), fra interiorità e mondo esterno, non può darsi nel campo della cura/prendersi cura degli altri, alcuna prassi eterotrasformazionale che, non sia la pretensione attuale di una trasformazione interiore, di ciò che accade. E neppure potrà darsi alcuna prassi autotrasformazionale che sia staccata dall'accadere dell'accadere o non vi sia inerente.
La trasformazione interiore, anticamente detta dell’anima, è interpenetrazione, commistione, contagio di singolarità e formazione di aperture al mondo, scambio tra singolarità duali, plurali, composite. Ciascuno accoglie dall’altro. In fondo, tutti i processi umani di compartecipazione, relazione, scambio sono innegabilmente eterotrasformazionali, coinvolgono altre persone, altra gente, altre visioni, altri spazi. All'alterità raggiunta (o perseguita) segue il contagio che, senza posa, comporta l'inseguimento di ulteriori diversità (stati di coscienza, stati personali): infatti questa persona nuova, questa maschera diversa, nell'ampliamento che si è prodotto del sistema conoscitivo personale, è molto più adesa all'orizzonte generale del proprio tempo (trasformazione cronodetica). La persona nuova si riconosce anche nella sua fragilità momentanea, nell’incertezza, nel dubbio, nell’inconsistenza e nella sua provvisorietà: sono segnali preziosi di un cambiamento, di un crollo della fortezza (o presunta tale) e di purificazione e metamorfosi umana. Le donne e gli uomini sono talora prigionieri della “persona prevalente” (Piro S., 2005) che li tiene in ostaggio, che non offre tregua, che imprigiona impedendo il superamento della sofferenza oscura: la difficoltà ad uscirne dà loro l'illusione di una personalità unitaria, eterna, invincibile che li caratterizza totalmente, che può mostrarsi eternamente agli occhi degli altri. Ma ogni cura può darsi come autocura, trasformazione ontica, metamorfosi improvvisa.

Questa autotrasformazionaliche che la persona sembra porre in atto, a tratti indipendentemente da ogni insegnamento, cura, azione etero trasformazionale, è una condizione possibile al di là degli scenari psicopatologici e delle scienze della “psy”. Fra tutte le grandi crisi quella “ontica”, nel nostro tempo, viene spessa trascurata e in sostituzione vengono poste descrizioni psicopatologiche a buon mercato. Chi vive nel mercato della cura (tecnici della sofferenza) necessitano del mercato delle sofferenze. Ma a questa crisi umana (ontica) deve esser dato ora il nome antico di “metanoia”: il superamento di una condizione di sofferenza o dolore comporta quasi sempre un cambiamento di una visione del mondo, di se stessi e di ciò che ci circonda, in un arco di tempo mentre le persone che non sono più imprigionate (o, meglio, che lo sono di meno) tendono a connettere le proprie visioni del mondo, i propri criteri di giudizio, i propri sentimenti anche con quelli di altre comunità umane diverse dalle proprie.

Voler curare/prendersi cura di un'altra persona (oltre noi stessi) coincide sempre, in ogni caso, con l'avvento di un più ampio orizzonte di senso, nell'ampliamento che si è prodotto, dopo una fase attiva o di attesa “personale” (o di sospensione), del sistema conoscitivo. Chi oltrepassa la sofferenza oscura è molto più legato all'orizzonte generale del proprio tempo. Come afferma Piro (Piro S., 2005) le persone sono talora prigionieri della persona prevalente che li tiene in ostaggio: la difficoltà ad uscirne dà loro l'illusione di una personalità unitaria e forte che li caratterizza totalmente. Una condizione questa cui tutti, nel bene e nel male, possiamo ritrovarsi durante un viaggio, il cammino della vita. DR GIUSEPPE ERRICO

1 commento:

Anonimo ha detto...

un bel articolo complimenti.