Da qualche tempo mi vengono alla mente tante cose forse utili per le nuove generazioni, per il destino di questa generazione che ha delle caratteristiche del tutto nuove rispetto a quelle precedenti. In primo luogo a questa generazione di giovani il destino appare incerto, privo di orizzonti, il futuro si presenta minaccioso (Galimberti U., 2008). Certo è difficile veder dal balcone una generazione senza provar il bisogno di “fare qualcosa”. Al di là delle prassi legate alla “psicologia d’aiuto” (ascolto, orientamento, “clinica”, psicoterapia, auto-aiuto, etc., sostegno alle famiglie) e dei buoni e vecchi propositi educativi credo che oggi sia necessario pensare in un altro modo al sociale, sforzarsi ad offrire all’altro un modo diverso di pensare, di vivere, di agire, di interagire con l’altro innescando passione nel vivere. Nella tempesta dilagante occorre pur dire al marinaio di tener dritta la rotta per non finire sugli scogli. Occorre ricordare a tutti che vivere comporta confronti e disagi, sofferenze e speranze, orizzonti e strumenti comunicativi ed emotivi. Occorre, in questo sforzo, dedicare una parte del proprio prezioso tempo all’altro, al “giovane straniero”, occorre indirizzare una gran quantità di prassi e di emozioni, non tanto nella direzione dell’ascolto (vi sono stati, in questi anni, sin troppi centri di ascolto, sportello di accoglienza, osservatori sui disagi, sulle povertà sulla condizione giovanile, sul disagio minorile… utili ai tanti esperti consulenti esterni degli enti locali), ma nella direzione di percorsi autoesplorativi, autoformativi e autoterapeutici. All’angusto e solitario spazio della psicoterapia occorre restituire e potenziare le poetiche dell’incontro, il gusto del bello (inteso come stupore e desiderio di migliorare contesti e persone a livello umano), potenziare l’etica/estetica, i campi vitali dello scambio (piazze, luoghi nuovi di incontro e di scambio) e, al contempo, all’indirizzo di tanti giovani, nuovi principi di “umiltà”e di “attesa”, di “sacrifici”….al di là della mercificazione degli oggetti e degli affetti. Oggi pare che si offra all’altro qualsiasi cosa purchè vi sia pur sempre un “ritorno”, ‘un premio”, una “ricompensa”… Quali iniziative risultano efficaci, per indurre nei ragazzi, una speranza verso il proprio futuro? Servono ancora l’antico buonismo e l’odierno pietismo (…poveri ragazzi…), quel contorto pensiero che rende l’immagine del giovane sempre inferiore a quella dell’adulto? Sempre più ho la convizione che occorre cambiare rotta, pensare a 360 gradi, a immaginare i percorsi giovanili come a viaggi imprevedibili, traettorie di esistenza senza limiti, privi di punti di riferimento. Tra queste proposte penso, ad esempio, alla creazione, al potenziamento e allo sviluppo, in vari quartieri svantaggiati, di spazi d’arte, luoghi di scambio emotivi (fuori e dentro le scuole aperte), aperti alla comunità (e non solo ad operatori e artisti), di vita/aggregazione e di socializzazione, ad una programmazione di seminari, corsi, laboratori ed esperienze espressive e d’arte (teatro, musica, danza), ad azioni di riappropriazione di spazi cittadini (piazze, ville, parchi) con momenti di teatri di strada e momenti di socialità collettiva (feste di quartiere, mercatini rionali). Sono ancora certo che l’arte più che dell’intervento psicosociale, possa aiutarci nell’impresa sociale, a costruire nuovi luoghi di incontro/scambio, un dialogo con i giovani, dialogo spezzato dai meccanismi patologici dei giorni nostri. Occorre, ad esempio, connettere le prassi teatrali alla prevenzione del disagio sociale, la “socialità” alla creatività, la fantasia allo sforzo costante di immaginare concretamente il futuro, indurre e istigare passioni e investimento personale, desiderio di iniziativa, istigare azioni che servono a restituire dignità al territorio e ai giovani cittadini: occorre in primis togliere dall’area di “parcheggio” tanti giovani ormai privi di speranze e restituirli al territorio:lì si agisce, si vive, si soffre, si aiuta l’altro, si lotta. La città e il quartiere diventano teatro di vita/scontri e di incontri, di sofferte scoperte, di riscoperta del patrimonio locale, con momenti di incontro tra genitori e operatori, giovani e anziani, stranieri e cittadini. Le proposte di lavoro di rete a carattere socioculturale, devono coinvolgere, al fine di risultare efficaci, non tanto i palazzi della politica e degli affari, ma gli enti del terzo settore (associazioni, organismi del volontariato) e gli istituti scolastici. Nella promozione di una nuova cultura giovanile, si deve mirare a favorire il senso di appartenenza al territorio geografico nel quale si interviene e che, spesso si configura, per molteplici aspetti, al limite della non-identità, a causa della perdita di segni della memoria collettiva sia nella storia urbana che nella sua geografia. Il recupero degli spazi di vita dei giovani (piazze, luoghi di ritrovo) può essere conseguito, fondamentalmente, tramite il coinvolgimento dei ragazzi stessi e dei giovani, tramite le prassi di teatro sociale e teatri contro l’esclusione (TcE – Movimento) ovvero corsi, seminari, incontri, laboratori, spettacoli, tramite lo sforzo comune e costante degli operatori sociali e culturali e degli abitanti stessi dei centri urbani, attraverso la riscoperta di luoghi, linguaggi e storie delle città. La città (ma anche il quartiere) con i suoi abitanti e giovani, con i suoi palazzi, servizi, mestieri, botteghe, chiese, locali, bar, scuole, segnaletica, strade, luoghi di incontro, etc., puo’ assumere i connotati di un luogo teatrale, di uno spazio giovane a misura umana. Divenuta scenografia dell’azione quotidiana (individuale o collettiva, familiare o sociale, privata o pubblica, nel tempo libero o in quello produttivo), le città si riscoprono e si reinventano per i giovani che vivono l’arte (teatro, musica, danza) come mezzo di comunicazione ed espressione. Tale lavoro con/per i giovane li condurrà ad essere capaci di misurarsi con la vita concreta (non astratta) e di produrre modelli nuovi di conoscenza urbana e di socialità, di aggregazione giovanile. Il fine del percorso non è solo quello educativo, di socialità, non è solo quello di mettere in scena la città bensì quello di riscoprirvi e ricollocarvi i protagonisti appunto i giovani, che possono essere condotti artisticamente e socialmente ad attraversare reiteratamente i luoghi in cui vivono, i luoghi di ritrovo, a conoscerli in altra prospettiva (sociale/artistica), a sentirli propri e della collettività, ad intervenirvi in maniera creativa ed a misurarne la vivibilità. E’ questa senz’altro una operazione sociale di tipo antropologico e artistico, che mette insieme tutte le risorse locali presenti e che consente di fotografare il mondo dei giovani, di permettere loro uno scambio culturale e di partecipare ad eventi collettivi, di far si che le città attraversino i luoghi, gli abitanti, i lavori, i rapporti sociali, le storie umane, i documenti (foto, video, materiale cartaceo, mappe, etc.). La consapevolezza e la potenzialità del futuro, inteso come capacità di sognare i cambiamenti, passa attraverso la concezione della città come rappresentazione, cioè di una città come teatro, nella direzione di una vita sociale maggiormente condivisa, che valorizzi i tempi e i luoghi dello stare insieme e che abbatta le barriere dell’esclusione sociale. Tali interventi sulla città e per la città, per i diritti, sono orientati a migliorare l’autoiniziativa, il benessere e la qualità della vita della popolazione, a promuovere l’autonomia e la creatività, a valorizzare, nel rispetto di ogni diversità, le vite dei nostri ragazzi. Dr. Giuseppe Errico
mercoledì 5 agosto 2009
VERSO LA CREAZIONE DI SPAZI DI VITA PER I GIOVANI
Da qualche tempo mi vengono alla mente tante cose forse utili per le nuove generazioni, per il destino di questa generazione che ha delle caratteristiche del tutto nuove rispetto a quelle precedenti. In primo luogo a questa generazione di giovani il destino appare incerto, privo di orizzonti, il futuro si presenta minaccioso (Galimberti U., 2008). Certo è difficile veder dal balcone una generazione senza provar il bisogno di “fare qualcosa”. Al di là delle prassi legate alla “psicologia d’aiuto” (ascolto, orientamento, “clinica”, psicoterapia, auto-aiuto, etc., sostegno alle famiglie) e dei buoni e vecchi propositi educativi credo che oggi sia necessario pensare in un altro modo al sociale, sforzarsi ad offrire all’altro un modo diverso di pensare, di vivere, di agire, di interagire con l’altro innescando passione nel vivere. Nella tempesta dilagante occorre pur dire al marinaio di tener dritta la rotta per non finire sugli scogli. Occorre ricordare a tutti che vivere comporta confronti e disagi, sofferenze e speranze, orizzonti e strumenti comunicativi ed emotivi. Occorre, in questo sforzo, dedicare una parte del proprio prezioso tempo all’altro, al “giovane straniero”, occorre indirizzare una gran quantità di prassi e di emozioni, non tanto nella direzione dell’ascolto (vi sono stati, in questi anni, sin troppi centri di ascolto, sportello di accoglienza, osservatori sui disagi, sulle povertà sulla condizione giovanile, sul disagio minorile… utili ai tanti esperti consulenti esterni degli enti locali), ma nella direzione di percorsi autoesplorativi, autoformativi e autoterapeutici. All’angusto e solitario spazio della psicoterapia occorre restituire e potenziare le poetiche dell’incontro, il gusto del bello (inteso come stupore e desiderio di migliorare contesti e persone a livello umano), potenziare l’etica/estetica, i campi vitali dello scambio (piazze, luoghi nuovi di incontro e di scambio) e, al contempo, all’indirizzo di tanti giovani, nuovi principi di “umiltà”e di “attesa”, di “sacrifici”….al di là della mercificazione degli oggetti e degli affetti. Oggi pare che si offra all’altro qualsiasi cosa purchè vi sia pur sempre un “ritorno”, ‘un premio”, una “ricompensa”… Quali iniziative risultano efficaci, per indurre nei ragazzi, una speranza verso il proprio futuro? Servono ancora l’antico buonismo e l’odierno pietismo (…poveri ragazzi…), quel contorto pensiero che rende l’immagine del giovane sempre inferiore a quella dell’adulto? Sempre più ho la convizione che occorre cambiare rotta, pensare a 360 gradi, a immaginare i percorsi giovanili come a viaggi imprevedibili, traettorie di esistenza senza limiti, privi di punti di riferimento. Tra queste proposte penso, ad esempio, alla creazione, al potenziamento e allo sviluppo, in vari quartieri svantaggiati, di spazi d’arte, luoghi di scambio emotivi (fuori e dentro le scuole aperte), aperti alla comunità (e non solo ad operatori e artisti), di vita/aggregazione e di socializzazione, ad una programmazione di seminari, corsi, laboratori ed esperienze espressive e d’arte (teatro, musica, danza), ad azioni di riappropriazione di spazi cittadini (piazze, ville, parchi) con momenti di teatri di strada e momenti di socialità collettiva (feste di quartiere, mercatini rionali). Sono ancora certo che l’arte più che dell’intervento psicosociale, possa aiutarci nell’impresa sociale, a costruire nuovi luoghi di incontro/scambio, un dialogo con i giovani, dialogo spezzato dai meccanismi patologici dei giorni nostri. Occorre, ad esempio, connettere le prassi teatrali alla prevenzione del disagio sociale, la “socialità” alla creatività, la fantasia allo sforzo costante di immaginare concretamente il futuro, indurre e istigare passioni e investimento personale, desiderio di iniziativa, istigare azioni che servono a restituire dignità al territorio e ai giovani cittadini: occorre in primis togliere dall’area di “parcheggio” tanti giovani ormai privi di speranze e restituirli al territorio:lì si agisce, si vive, si soffre, si aiuta l’altro, si lotta. La città e il quartiere diventano teatro di vita/scontri e di incontri, di sofferte scoperte, di riscoperta del patrimonio locale, con momenti di incontro tra genitori e operatori, giovani e anziani, stranieri e cittadini. Le proposte di lavoro di rete a carattere socioculturale, devono coinvolgere, al fine di risultare efficaci, non tanto i palazzi della politica e degli affari, ma gli enti del terzo settore (associazioni, organismi del volontariato) e gli istituti scolastici. Nella promozione di una nuova cultura giovanile, si deve mirare a favorire il senso di appartenenza al territorio geografico nel quale si interviene e che, spesso si configura, per molteplici aspetti, al limite della non-identità, a causa della perdita di segni della memoria collettiva sia nella storia urbana che nella sua geografia. Il recupero degli spazi di vita dei giovani (piazze, luoghi di ritrovo) può essere conseguito, fondamentalmente, tramite il coinvolgimento dei ragazzi stessi e dei giovani, tramite le prassi di teatro sociale e teatri contro l’esclusione (TcE – Movimento) ovvero corsi, seminari, incontri, laboratori, spettacoli, tramite lo sforzo comune e costante degli operatori sociali e culturali e degli abitanti stessi dei centri urbani, attraverso la riscoperta di luoghi, linguaggi e storie delle città. La città (ma anche il quartiere) con i suoi abitanti e giovani, con i suoi palazzi, servizi, mestieri, botteghe, chiese, locali, bar, scuole, segnaletica, strade, luoghi di incontro, etc., puo’ assumere i connotati di un luogo teatrale, di uno spazio giovane a misura umana. Divenuta scenografia dell’azione quotidiana (individuale o collettiva, familiare o sociale, privata o pubblica, nel tempo libero o in quello produttivo), le città si riscoprono e si reinventano per i giovani che vivono l’arte (teatro, musica, danza) come mezzo di comunicazione ed espressione. Tale lavoro con/per i giovane li condurrà ad essere capaci di misurarsi con la vita concreta (non astratta) e di produrre modelli nuovi di conoscenza urbana e di socialità, di aggregazione giovanile. Il fine del percorso non è solo quello educativo, di socialità, non è solo quello di mettere in scena la città bensì quello di riscoprirvi e ricollocarvi i protagonisti appunto i giovani, che possono essere condotti artisticamente e socialmente ad attraversare reiteratamente i luoghi in cui vivono, i luoghi di ritrovo, a conoscerli in altra prospettiva (sociale/artistica), a sentirli propri e della collettività, ad intervenirvi in maniera creativa ed a misurarne la vivibilità. E’ questa senz’altro una operazione sociale di tipo antropologico e artistico, che mette insieme tutte le risorse locali presenti e che consente di fotografare il mondo dei giovani, di permettere loro uno scambio culturale e di partecipare ad eventi collettivi, di far si che le città attraversino i luoghi, gli abitanti, i lavori, i rapporti sociali, le storie umane, i documenti (foto, video, materiale cartaceo, mappe, etc.). La consapevolezza e la potenzialità del futuro, inteso come capacità di sognare i cambiamenti, passa attraverso la concezione della città come rappresentazione, cioè di una città come teatro, nella direzione di una vita sociale maggiormente condivisa, che valorizzi i tempi e i luoghi dello stare insieme e che abbatta le barriere dell’esclusione sociale. Tali interventi sulla città e per la città, per i diritti, sono orientati a migliorare l’autoiniziativa, il benessere e la qualità della vita della popolazione, a promuovere l’autonomia e la creatività, a valorizzare, nel rispetto di ogni diversità, le vite dei nostri ragazzi. Dr. Giuseppe Errico
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