È da osservare, poi, che le burocrazie professionali operano in ambienti molto complessi ma relativamente stabili, almeno fino al punto di consentire la standardizzazione delle capacità richieste. Quest’aspetto è particolarmente cruciale se si pensa alle caratteristiche di innovatività richieste al lavoro degli insegnanti in una scuola e in una società altamente dinamica e, anzi, ciò rimanda alla opportuna osservazione su “le due velocità del dibattito, da un lato abbiamo le indicazioni di carattere organizzativo, di immediata attuazione, rivolte al management scolastico, dell’altro alcune proposte, difficili da tradurre sul piano concreto, sull’organizzazione e trasmissioni di sapere tradizionali e nuovi” (cfr. Frassari, infra CAP, I).Emerge così l’altro grosso problema delle burocrazie professionali, quelle dell’innovazione, che non può essere risolto attraverso il solo meccanismo di coordinamento della standardizzazione delle capacità, ma richiede “l’adattamento reciproco”, premessa come si vedrà tra bere anche di quelle condizioni di apprendimento organizzativo che possono ri-potenziare la componente professionale della scuola in un modello non burocratico e non individualista (Rait, 1995; Shedd, Bacharach, 1991; Tomassini, infra). Il tal senso il management della burocrazia professionale per promuovere/supporre una tensione anche in favore dell’innovazione e di una efficace presa in carico dell’incertezza/complessità (si pensi all’annosa questione della ricerca e delle sperimentazioni nella scuola, così come del resto anche nell’università), dovrebbe imboccare la via che porta verso un redesigning dell’organizzazione con un modello maggiormente flessibile e dinamico, “post-fordista” come direbbe Biggiero (CAP. 6). [Estratto dal libro "Organizzare la scuola dell'autonomia" di L. Benadusi e R. Serpieri]
lunedì 28 dicembre 2009
venerdì 25 dicembre 2009
RIFLESSIONI DELL'UOMO DI STRADA
venerdì 18 dicembre 2009
venerdì 11 dicembre 2009
LA RI-SCOPERTA DELL’ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE (2°Parte)
Un primo livello di considerazione, pertanto, potrebbe essere così enunciato con riferimento del tutto particolare al caso italiano: i processi di formazione che hanno portato alle attuali capacità standardizzate degli insegnanti (gli stessi percorsi di studi universitari) e i criteri e le procedure di selezione degli stessi sono stati sin qui adeguati? Alle lacune fatte registrare, di cui emblematica la totale assenza di una formazione sui metodi anziché solo sui contenuti dell’insegnamento per tutti gli insegnanti della suola secondaria, è stato possibile ovviare almeno in parte della cosiddetta formazione sul lavoro o con altri percorsi di aggiornamento professionale o col riferirsi a scambi favoriti dalla collegialità delle associazioni professionali? Le notazioni di Consoli (infra CAP. 4) non sono per la verità molto confortanti sulle vicende della scuola italiana pre-autonomia e, d’altro canto offrono indicazioni preziose sulle direzioni in cui muoversi proprio per rafforzare la componente professionale, innanzitutto nelle competenze effettivamente praticate, del lavoro degli insegnanti nel nostro sistema d’istruzione.
Va ricordato che le burocrazie professionali ben si adattano ad ambienti organizzativi che richiedono poco coordinamento, che sono, come si è usi dire ricorrendo ad un’altra nota metafora elaborata dal pensiero organizzativo di questo tipo per diverse ragioni. Innanzitutto perché il suo compito era la trasmissione di sapere disciplinare che poteva procedere, come lo stesso Mintzberg notava per le università, attraverso un modello organizzativo “ad alveare”, dove cioè ad ogni buco corrisponde un insegnamento del tutto separato ed in comunicante con l’altro. Non a caso erano proprio gli unici tipi di scuola – la materna e l’elementare – cui erano assegnate finalità più ampie, educative e non solo istruzionali, a presentare il più elevato livello di coordinamento e di distaccarsi in modo più pronunciato dal modello della burocrazia professionale. Un’altra ragione era nella rinuncia della parte dell’istruzione scolastica ad assumere funzioni di attivazione e cambiamento del contesto, per esempio ad emanciparsi dai ruoli di pura e semplice riproduzione delle disuguaglianze sociali e di mero adattamento ai mercati del lavoro locali. Effettuata questa scelta, per disimpegnare i compiti esercitati dalla scuola bastava una organizzazione debole e sostanzialmente subalterna. [Estratti dal libro "Organizzare la scuola dell'autonomia" di L. Benadusi e R. Serpieri]