lunedì 17 agosto 2009

Le attività di sostegno alla genitorialità nel progetto “La Strada Maestra”

Una delle attività fondamentali rispetto alle famiglie con minori a rischio sociale è stata senz’altro il corso sulla genitorialità (azione 4) svoltosi ed in corso di svolgimento in due istituti scolastici (III Circolo G.Carducci di Casoria, ICS Pascoli 2) e, a partire da settembre, in molti altri istituti scolastici.
Il tema del rapporto tra genitori e figli presuppone un’ottica di osservazione che ne caratterizza l’analisi e la riflessione, la condivisione di prassi socioeducative. La costruzione di una genitorialità, responsabile e coerente non è un traguardo irraggiungibile. E’ necessaria per sostenere l’arduo percorso della crescita emotiva, affettiva ed etica di un figlio, sia nella prima infanzia che, ancor più, nell’adolescenza. La relazione tra genitori e figli è l¹asse centrale su cui si fonda la famiglia e non è possibile comprendere le dinamiche che si creano se non si tiene di conto delle trasformazioni dell’istituzione familiare (e dell’istituto scolastico) che si sono verificate in questi ultimi decenni. Come si può intuire la famiglia non si fonda su un’asse orizzontale (la coppia) bensì sulla verticalità dei rapporti genitori-figli. Di recente i cambiamenti avvenuti nelle relazioni adulti-bambini hanno portato al passaggio da una famiglia fondata sulla norma a una famiglia fondata sugli affetti. Analizzando il lavoro svolto possiamo affermare che sistema famiglia, così trasformato, sta vivendo un passaggio nel quale i genitori sono in condizione di “disarmo” educativo, che inibisce la loro capacità di sostegno formativo, umano, emotivo.
Le coppie genitoriali (e in particolare le madri) sono apparse alla ricerca di una nuova identità, prive di modelli di riferimento, prive di certezze capaci di supportare le quotidiane scelte educative.
Ciò si ripercuote sui figli, in particolare quelli adolescenti, che sembrano non crescere mai, non trovando stimoli e capacità di accompagnamento dei genitori e rimanendo permanentemente in una dimensione di dipendenza affettiva e pratica.
La ricerca di un’identità del proprio essere genitori diventa fondamentale e tale processo significa imparare a percepirsi in costante cammino di formazione e crescita, a partire da un percorso personale, ma sempre aperto all’attenzione all’altro. Per una madre è importante continuare a interrogarsi, a conoscere, a mettersi in discussione. E ciò significa essere pronti alla decostruzione delle proprie certezze, senza il timore di perderle, comprendere una nuova “forma di sé” che può essere raggiunta solo dislocandosi dalle proprie credenze: l’ascolto, il dialogo, l’empatia, sono tre comportamenti che danno vita a quella che possiamo definire la “pedagogia dell’attenzione” di un genitore. La tensione verso la cura dell’altro diviene il nucleo fondante il nuovo modo di “accogliere” e “attendere” l’altro. L’attenzione è caratterizzata da una leggerezza della dinamica comunicativa, fatta di attese di tempi e di osservazione delle modalità comunicative dell’altro, di pazienza e dedizione all’altro. I giovani hanno bisogno di sognare, di immaginare l’impossibile. Tocca all’adulto saper cogliere, nella quotidianità, i sogni e i progetti dei giovani, mostrando gioia nell’ascoltare ogni pensiero, sia quelli espressi che quelli che rimangono celati nella mente. Quando il genitore volge il suo sguardo fiducioso nei confronti del figlio, quando permette lui di esprimere anche le fantasie più strane, quando offre un ascolto non giudicativo, ma disponibile e discreto, empatico ed emotivamente vivo e aperto, il figlio trova quel porto sicuro di cui ha bisogno per vivere da “adulto”.

giovedì 13 agosto 2009

La scuola in un¹epoca priva di orizzonti

La dispersione scolastica è un fenomeno complesso, non riconducibile solo a situazioni di degrado sociale, disagio economico o povertà culturale. Esso riflette una perdita di efficacia dei diversi ambienti educativi: famiglia, luoghi di aggregazione sociale, territorio e soprattutto la scuola. Come fenomeno sociale connota anche un complesso di manifestazioni collegabili sia all'evasione dell'obbligo, alle bocciature, alle ripetenze, alle interruzioni e alle irregolarità nelle frequenze, agli abbandoni, ai ritardi rispetto all'età, sia all'assolvimento formale dell'obbligo, alla qualità scadente degli esiti, al disadattamento scolastico. Nell’ambito del nostro progetto La Strada Maestra definizione dispersione scolastica rimanda ad uno scenario segnato dalla complessità: della società contemporanea e quindi di tutti i fenomeni sociali, specifica della situazione giovanile, delle interazioni scuola-famiglia-società della ricerca e della valutazione dei processi educativi.
Per definire meglio la dispersione scolastica possiamo dire che si tratta di un fenomeno umano per il quale intelligenze, energie, risorse, occasioni di crescita e d'emancipazionesono sprecate o non utilizzate al meglio. Le cause di tale non ottimale utilizzo di risorse possono essere rintracciate in fenomeni di vario tipo, interni ed esterni al sistema scolastico.
A livello operazionale l'ipotesi di fondo è che sia possibile intervenire per il miglioramento della qualità di vita di un giovane solo a condizione di fronteggiare situazione di danno, tenendo sotto controllo le caratteristiche del servizio scolastico, culturale e sociale presente in un contesto territoriale. Un disagio vissuto a scuola è pur sempre correlabile agli aspetti critici del problema dell'insuccesso formativo.
Date queste premesse il percorso attivato con il progetto La Strada Maestra, che si è inteso sviluppare sin dall’inizio (maggio 2008), è stato quello che, in un'espressione un po' sintetica, è stato definito come il passaggio da una scuola del programma ad una scuola del curricolo.
Il problema centrale del mancato sviluppo della progettualità scolastica è infatti da ricercarsi all'interno dell'attuale logica programmatoria, e cioè nel divario che essa mantiene tra l'intenzione formativa e ciò che invece effettivamente accade nella pratica quotidiana (non solo dell'aula).
Parlare di curricolo significa, invece, affrontare il problema dell'organizzazione dell'esperienza formativa in una situazione scolastica concreta; l'attenzione si sposta sulla necessità di portare allo scoperto la relazione, che esiste, tra i due momenti della progettazione e realtà di fatto dell'esperienza e di farne oggetto di un lavoro preventivo.
Per ciò che attiene al problema della "dispersione" occorre allora puntare su una innovazione progettuale capace di fare operare insieme, in una logica di rete, organismi e professionalità: un tipo di progettualità preventiva per la quale il problema da specificare consista essenzialmente nello sviluppare la competenza a percepire, descrivere e comprendere quello che effettivamente accade nella realtà.
Più ancora appare necessario sviluppare un’analisi completa ed articolata delle caratteristiche generali della proposta educativa, sociale e formativa, per individuare qualsiasi elemento di disagio e per potenziare l’offerta stessa, in modo da rimuovere i fattori territoriali e contestuali che conducono alla dispersione.
Sin d’ora il percorso attuato, in diversi contesti socioculturali, ha dato buoni frutti e si è concretizzato, oltre che nello scambio delle esperienze e nel rafforzamento di una rete di enti territoriali, anche in una forte intesa progettuale (istituti scolastici, enti del terzo settore, enti pubblici).
Un approccio di questo tipo dunque comporta un impegno di risorse finalizzate alla costruzione di aree di intervento sperimentale:
1. la costruzione di una mappa sul fenomeno dei successi e degli insuccessi scolastici per essere in grado di evitare che il fenomeno sfugga, di monitorare i dati, di produrre documentazione e diffonderla ;
2. la costruzione di un percorso sperimentale secondo il metodo della rete;
3. la costruzione di un percorso didattico, che assumendo come problema fondamentale la motivazione allo studio, abbia come obiettivo raggiungibile l’innalzamento del successo scolastico oltre che la lotta alla dispersione scolastica.
Lo sforzo gestionale, che per la sua dimensione è già rilevante, può essere orientato al problema della dispersone scolastica in termini di miglioramento della qualità solo a condizione di assumere un approccio operativo coerente alla natura complessa dell'organizzazione scolastica.
La nostra proposta muove pertanto da una indispensabile premessa progettuale di fondo: nessuna innovazione del servizio scolastico può avere probabilità di riuscita senza sviluppo di una cultura, e quindi di una gestione progettuale del territorio.
É questa una condizione necessaria per riuscire a portare sostanziali correttivi alla produttività scolastica, cioè per affrontare in modo ragionevole il problema della dispersione.
Insomma il tema dispersione scolastica non puo’ connettersi al tema della fragilità interna dei giovani ma bensì alle conseguente devastanti di una epoca priva di orizzonti, di scenari, della possibilità di costruirsi un avvenire: la storia insegna che il risultato di un epoca di cambiamenti comporta periodi negativi e positivi sulle aspettative dei giovani, sul loro futuro. Sino a qualche anno fa la scuola assolveva a compiti educativi di grande importanza. Diversi anni fa le difficoltà che incontrava un giovane erano da collegarsi principalmente, una volta terminati gli studi, alla ricerca di un posto di lavoro tale da garantire la possibilità di metter su famiglia. La paura della povertà non era così forte: la scarsità di svaghi e l'impossibilità di soddisfare tutti i propri desideri non comportava smarrimento. L’autorealizzazione personale includeva sacrifici e solidi punti e persone di riferimento. Al giorno d'oggi, con l'avvento della perdita del futuro, i problemi dei giovani si concentrano maggiormente nell'ambito socioesistenziale. I giovani vengono spinti a crescere in fretta ma si devono poi districare in una società eccessivamente rigida, chiusa e inerziale. Questa situazione lascia il ragazzo in una condizione di solitudine e dà uno stimolo a crescere ancora più in fretta e ad operare scelte autonomamente, anche quando una certa esperienza ed anzianità sarebbero indispensabili. E allora tutti i consigli sull'educazione da dare ai figli, dalla scelta dei maestri al controllo dei metodi educativi, dai sistemi per far sviluppare il senso critico a quelli per correggere gli errori senza schiacciare l'entusiasmo dei giovani si presentano necessari per operare nella società. Ancora una volta il tema del futuro dei giovani ci appare come una necessità per il futuro di noi tutti e per la società. Dr. G. Errico

venerdì 7 agosto 2009

La strada Maestra, Analisi, riflessioni e considerazioni

Nel testo seguente saranno illustrate le principali caratteristiche operative del progetto sull’educazione dei giovani e il contrasto alla dispersione scolastica denominato La Strada Maestra, ideato ed attuato dall’Associazione Agenzia Arcipelago onlus di Napoli con il contributo della Fondazione del Sud di Roma. Pertanto l’obiettivo di tale scritto è quello, sinteticamente, di fornire un panorama generale ed essenziale dello stato operativo del progetto La Strada Maestra rispetto ai ragazzi, alle attività svolte nei luoghi sociali e dell’apprendimento (istituti scolastici). Il tema del contrasto alla dispersione scolastica non è prerogativa della Campania. Il dibattito da tempo coinvolge istituzioni europee, siano esse pubbliche o private. Quindi alla base di ogni azione la considerazione che ogni persona che vive un forte disagio sociale e/o psicologico in ambito sociale e scolastico, rappresenta per la società (in quanto “diverso dagli altri” ) una fonte di crisi sociale, e su tale crisi sociale si sono costruiti dei sistemi organizzati di contenimento (strutture organizzative) per ridurre la crisi sociale. Le strutture organizzative generalmente sono basate su un fine e su un obiettivo: il fine, riguarda lo stato della realtà socialmente desiderata in funzione della quale viene istituita un’organizzazione, mentre l’obiettivo attiene al risultato più probabile di una tecnica scientificamente verificata. La struttura ha un fine, ma spesso può accadere che esso non riguardi la sofferenza del minorenne, bensì la crisi sociale che tale sofferenza induce. Infatti, si può notare come, tutte le strutture organizzate aventi un forte mandato sociale da parte delle amministrazioni locali, dell’ordine pubblico costituito, ecc. riguardo ad un fenomeno che viene esportato dal tessuto sociale, si pongano come fine la riduzione del danno, il contenimento della crisi sociale e la ovvia emarginazione del soggetto, in quanto non corrisponde ad una tecnicità in grado di affrontare e risolvere il problema. Il progetto si inserisce, su una linea di continuità, rispetto al lavoro con i ragazzi che l’ente non profit svolge in Campania, sin dal 1999 ed ha riguardato le prassi di contrasto al disagio. Le operazioni del progetto La Strada Maestra (Azione 1,2,3,4,5,6) si svolgono, per gran parte e per l’intera durata progettuale, in ambito scolastico e, in qualche misura, sul territorio (cfr. la manifestazione “Il giorno del gioco”; “Un Paese Incantato” visita guidata a Campodimele) anche nei luoghi del terzo settore: cooperative sociale Auxilia, Poien, Solidary H, Novella Aurora, associazioni Cat Missione, Banda Don Bosco, Aias, Aaquas). Il territorio di riferimento comprende, oltre il noto quartiere di Scampia di Napoli, diverse città della Provincia di Napoli e della Provincia di Caserta: Casoria, Arzano, Afragola, Teverola, Orta di Atella, Napoli, Giugliano in Campania. Sin d’ora il lavoro svolto, da parte degli operatori (psicologi, assistenti sociali, volontari, esperti, formatori, tutor, ecc.) dopo un periodo promozionale legato anche all’esigenza di rafforzare la rete degli enti del partenariato, si è svolto in gran parte presso le scuole aderenti al progetto. Le prassi si sono indirizzate lto principalmente verso i ragazzi a rischio di dispersione/abbandono scolastico individuati da docenti e dirigenti scolastici e negli stessi istituti scolastici degli enti del partenariato (Scuola Secondaria di I Grado G.Ungaretti, IPSA G.Marconi, etc.). Le varie azioni tuttavia hanno coinvolto genitori e docenti, cittadini e operatori. Verso coloro che in qualche modo sono interessati all’educazione dei giovani e alle prassi di prevenzione sociale: operatori, e cittadini impegnati nel campo del volontariato. Il periodo di riferimento preso in esame è il primo anno di attività (maggio 2008/giugno 2009). Sin dall’inizio il lavoro svolto sul territorio, per una maggiore conoscenza delle difficoltà e opportunità, è risultato utile per un primo censimento/valutazione sulla “domanda sociale” da parte di enti e sulla analisi dei processi di scambio del sistema scuola-territorio-rete sociale (terzo settore). Inolre alcuni criteri operativi e comunicativi (promozione, lavoro in classe, attivazione di corsi e laoratori, colloqui con docenti ed operatori, attivazione e rafforzamento di una “rete di enti”) hanno permettono l’identificazione, sin dall’inizio, delle principali condizioni di facilitazione e di ostacolo all’opeatività così come, negli stessi partecipanti/utenti, le difficoltà legate al “vivere la condizione di studente” e le difficoltà legate all’apprendimento della didattica. Non di rado si sono evidenziate specifiche forme di disagio dei giovani nell’ambito della scuola e nel contesto familiare, rispetto alle più generali difficoltà di apprendimento, di comunicazione, di socializzazione. Altresì non sono mancate difficoltà di comprensione sull’operatività da parte di docenti e dirigenti scolastici e, in sostanza, tra il comporto scuola e il nostro progetto sull’educazione dei giovani. Spesso non è stato facile far comprendere ad alcuni insegnanti/operatori sociali presenti sul territorio il nostro ruolo di promotori, affiancamento e supporto alla didattica e al lavoro sociale, di promotori di benessere. Spesso la richiesta di presa in carico, riguardo alcuni giovani studenti, non era ben motivata e celava il bisogno (non sempre mascherato) di non volersi occupare, più di tanto, della condizione di disagio dello stesso minore. Le attività e le tematiche della prima annualità attivate sono state molteplici dopo un periodo di promozione del progetto presso enti pubblici e privati. Per la seconda annualità si prevede, in contemporanea, l’attivazione delle restanti attività anche al fine di recuperare qualche lieve ritardo sulla tempistica prevista. Dr. Giuseppe Errico

mercoledì 5 agosto 2009

VERSO LA CREAZIONE DI SPAZI DI VITA PER I GIOVANI


Da qualche tempo mi vengono alla mente tante cose forse utili per le nuove generazioni, per il destino di questa generazione che ha delle caratteristiche del tutto nuove rispetto a quelle precedenti. In primo luogo a questa generazione di giovani il destino appare incerto, privo di orizzonti, il futuro si presenta minaccioso (Galimberti U., 2008). Certo è difficile veder dal balcone una generazione senza provar il bisogno di “fare qualcosa”. Al di là delle prassi legate alla “psicologia d’aiuto” (ascolto, orientamento, “clinica”, psicoterapia, auto-aiuto, etc., sostegno alle famiglie) e dei buoni e vecchi propositi educativi credo che oggi sia necessario pensare in un altro modo al sociale, sforzarsi ad offrire all’altro un modo diverso di pensare, di vivere, di agire, di interagire con l’altro innescando passione nel vivere. Nella tempesta dilagante occorre pur dire al marinaio di tener dritta la rotta per non finire sugli scogli. Occorre ricordare a tutti che vivere comporta confronti e disagi, sofferenze e speranze, orizzonti e strumenti comunicativi ed emotivi. Occorre, in questo sforzo, dedicare una parte del proprio prezioso tempo all’altro, al “giovane straniero”, occorre indirizzare una gran quantità di prassi e di emozioni, non tanto nella direzione dell’ascolto (vi sono stati, in questi anni, sin troppi centri di ascolto, sportello di accoglienza, osservatori sui disagi, sulle povertà sulla condizione giovanile, sul disagio minorile… utili ai tanti esperti consulenti esterni degli enti locali), ma nella direzione di percorsi autoesplorativi, autoformativi e autoterapeutici. All’angusto e solitario spazio della psicoterapia occorre restituire e potenziare le poetiche dell’incontro, il gusto del bello (inteso come stupore e desiderio di migliorare contesti e persone a livello umano), potenziare l’etica/estetica, i campi vitali dello scambio (piazze, luoghi nuovi di incontro e di scambio) e, al contempo, all’indirizzo di tanti giovani, nuovi principi di “umiltà”e di “attesa”, di “sacrifici”….al di là della mercificazione degli oggetti e degli affetti. Oggi pare che si offra all’altro qualsiasi cosa purchè vi sia pur sempre un “ritorno”, ‘un premio”, una “ricompensa”… Quali iniziative risultano efficaci, per indurre nei ragazzi, una speranza verso il proprio futuro? Servono ancora l’antico buonismo e l’odierno pietismo (…poveri ragazzi…), quel contorto pensiero che rende l’immagine del giovane sempre inferiore a quella dell’adulto? Sempre più ho la convizione che occorre cambiare rotta, pensare a 360 gradi, a immaginare i percorsi giovanili come a viaggi imprevedibili, traettorie di esistenza senza limiti, privi di punti di riferimento. Tra queste proposte penso, ad esempio, alla creazione, al potenziamento e allo sviluppo, in vari quartieri svantaggiati, di spazi d’arte, luoghi di scambio emotivi (fuori e dentro le scuole aperte), aperti alla comunità (e non solo ad operatori e artisti), di vita/aggregazione e di socializzazione, ad una programmazione di seminari, corsi, laboratori ed esperienze espressive e d’arte (teatro, musica, danza), ad azioni di riappropriazione di spazi cittadini (piazze, ville, parchi) con momenti di teatri di strada e momenti di socialità collettiva (feste di quartiere, mercatini rionali). Sono ancora certo che l’arte più che dell’intervento psicosociale, possa aiutarci nell’impresa sociale, a costruire nuovi luoghi di incontro/scambio, un dialogo con i giovani, dialogo spezzato dai meccanismi patologici dei giorni nostri. Occorre, ad esempio, connettere le prassi teatrali alla prevenzione del disagio sociale, la “socialità” alla creatività, la fantasia allo sforzo costante di immaginare concretamente il futuro, indurre e istigare passioni e investimento personale, desiderio di iniziativa, istigare azioni che servono a restituire dignità al territorio e ai giovani cittadini: occorre in primis togliere dall’area di “parcheggio” tanti giovani ormai privi di speranze e restituirli al territorio:lì si agisce, si vive, si soffre, si aiuta l’altro, si lotta. La città e il quartiere diventano teatro di vita/scontri e di incontri, di sofferte scoperte, di riscoperta del patrimonio locale, con momenti di incontro tra genitori e operatori, giovani e anziani, stranieri e cittadini. Le proposte di lavoro di rete a carattere socioculturale, devono coinvolgere, al fine di risultare efficaci, non tanto i palazzi della politica e degli affari, ma gli enti del terzo settore (associazioni, organismi del volontariato) e gli istituti scolastici. Nella promozione di una nuova cultura giovanile, si deve mirare a favorire il senso di appartenenza al territorio geografico nel quale si interviene e che, spesso si configura, per molteplici aspetti, al limite della non-identità, a causa della perdita di segni della memoria collettiva sia nella storia urbana che nella sua geografia. Il recupero degli spazi di vita dei giovani (piazze, luoghi di ritrovo) può essere conseguito, fondamentalmente, tramite il coinvolgimento dei ragazzi stessi e dei giovani, tramite le prassi di teatro sociale e teatri contro l’esclusione (TcE – Movimento) ovvero corsi, seminari, incontri, laboratori, spettacoli, tramite lo sforzo comune e costante degli operatori sociali e culturali e degli abitanti stessi dei centri urbani, attraverso la riscoperta di luoghi, linguaggi e storie delle città. La città (ma anche il quartiere) con i suoi abitanti e giovani, con i suoi palazzi, servizi, mestieri, botteghe, chiese, locali, bar, scuole, segnaletica, strade, luoghi di incontro, etc., puo’ assumere i connotati di un luogo teatrale, di uno spazio giovane a misura umana. Divenuta scenografia dell’azione quotidiana (individuale o collettiva, familiare o sociale, privata o pubblica, nel tempo libero o in quello produttivo), le città si riscoprono e si reinventano per i giovani che vivono l’arte (teatro, musica, danza) come mezzo di comunicazione ed espressione. Tale lavoro con/per i giovane li condurrà ad essere capaci di misurarsi con la vita concreta (non astratta) e di produrre modelli nuovi di conoscenza urbana e di socialità, di aggregazione giovanile. Il fine del percorso non è solo quello educativo, di socialità, non è solo quello di mettere in scena la città bensì quello di riscoprirvi e ricollocarvi i protagonisti appunto i giovani, che possono essere condotti artisticamente e socialmente ad attraversare reiteratamente i luoghi in cui vivono, i luoghi di ritrovo, a conoscerli in altra prospettiva (sociale/artistica), a sentirli propri e della collettività, ad intervenirvi in maniera creativa ed a misurarne la vivibilità. E’ questa senz’altro una operazione sociale di tipo antropologico e artistico, che mette insieme tutte le risorse locali presenti e che consente di fotografare il mondo dei giovani, di permettere loro uno scambio culturale e di partecipare ad eventi collettivi, di far si che le città attraversino i luoghi, gli abitanti, i lavori, i rapporti sociali, le storie umane, i documenti (foto, video, materiale cartaceo, mappe, etc.). La consapevolezza e la potenzialità del futuro, inteso come capacità di sognare i cambiamenti, passa attraverso la concezione della città come rappresentazione, cioè di una città come teatro, nella direzione di una vita sociale maggiormente condivisa, che valorizzi i tempi e i luoghi dello stare insieme e che abbatta le barriere dell’esclusione sociale. Tali interventi sulla città e per la città, per i diritti, sono orientati a migliorare l’autoiniziativa, il benessere e la qualità della vita della popolazione, a promuovere l’autonomia e la creatività, a valorizzare, nel rispetto di ogni diversità, le vite dei nostri ragazzi. Dr. Giuseppe Errico

lunedì 3 agosto 2009

TUTTI A SCUOLA

Non sfugge a nessuno, infatti, e non è sfuggito agli operatori del progetto La Strada Maestra che si svolge attualmente in Provincia di Napoli e Caserta, promosso dall’Associazione Agenzia Arcipelago Onlus (Napoli) e la Fondazione per il Sud (Roma) che il benessere del minore a scuola non è legato solo alla possibilità di un positivo rendimento scolastico, ma investe la personalità tutta, così come la difficoltà scolastica è spesso sintomo di un malessere più profondo e complesso. La tutela dei minori e l’adolescenza, uno degli obiettivi fondamentali è stato proprio quello della “tutela del minore nel campo educativo, formativo e del tempo libero”. Oggi le politiche educative e sociali devono riconoscere e valorizzare le azioni e gli interventi per ragazzi, in cui essi: a) possano fare esperienze relazionali buone nel tempo dedicato alla socialità e allo sviluppo di interessi; b) abbiano riconosciuto il loro diritto all’educazione, qualunque sia la loro condizione di partenza; c) abbiano un’offerta di percorsi educativi-formativi adeguati alle attitudini e capacità di ciascuno; d) siano coinvolti in interventi mirati di tipo educativo qualora si manifestino potenziali forme di disagio e rischio di emarginazione sociale. Questo importante percorso sociale mette in luce un problema reale di molti ragazzi a scuola, offre elementi significativi per procedere a interventi che non ricadano nelle attività di animazione e rimotivazione generica, che non favoriscono, il più delle volte, l’incontro dell’adulto - insegnante o educatore - con il ragazzo nella sua totalità e, perciò, anche nella specificità del suo bisogno. Non per nulla la presa in carico di questi ragazzi (Azione 3- Accompagnamento sociale) coinvolge certamente più soggetti e competenze diverse. Per questo occorre garantire un’integrazione e un’interazione ordinata dei vari interventi al fine di facilitare l’azione educativa complessiva che si intende svolgere. Superare le difficoltà di apprendimento è possibile se si creano condizioni favorevoli per un intervento di forte pregnanza educativa legata alle indispensabili competenze specifiche richieste. Mi pare che tra queste condizioni si possano individuare senza dubbio le seguenti:
– favorire il confronto fra i soggetti che a vario titolo esercitano competenze e responsabilità in tale ambito (sistema scolastico, famiglie, agenzie formative, associazioni, enti locali) per promuovere un’azione congiunta e la circolazione di informazioni e di strumenti di intervento;
– superare la frammentazione degli interventi a favore di una progettualità comune che integra e si articola in singoli interventi: (azione 1); dall’orientamento (azione 2); sostegno alla genitorialità (azione 4); all’accompagnamento educativo del minore (azione 3); all’apprendimento dell’informatica (azione 6); all’avvio alle attività sociali e del volontariato (azione 5);
– creare, all’interno dei contesti scolastici e formativi, occasioni informazione, formazione e scambio tra i diversi soggetti sulle tematiche relative alla prevenzione primaria;
– attivare situazioni che favoriscano la costruzione di una rete condivisa di servizi interni ed esterni finalizzati al benessere scolastico.
In questo modo abbiamo agito e stiamo agiremo per il “sapere” e per il bene di questi ragazzi che chiedono solo di non essere mortificati perché non riescono, di non essere trattati come casi speciali e di non rimanere ai margini della vita scolastica. L’assimilazione dei contenuti, dei giudizi e delle prospettive favorirà un territorio e una scuola intesa come ambiente educativo, deputato a proteggere, favorire e sostenere lo sviluppo della persona, in particolare la consapevolezza di sé e dei “talenti”, la percezione di essere protagonisti dei propri progressi, l’autostima, la soddisfazione e fiducia di sé che deriva dall’essere consapevoli delle proprie risorse, la capacità di usare adeguatamente strategie per affrontare le proprie difficoltà di apprendimento, utilizzando risorse possedute, la motivazione ad aumentare le conoscenze.
Gli alunni che vanno male a scuola sono stati identificati sulla base delle valutazioni scolastiche e dei giudizi attribuiti dai docenti, giacché non esistono profili e modelli definiti. Sulla base delle esperienze condotte fino a oggi è possibile, però, delineare il seguente quadro di riferimento delle caratteristiche ambientali e personali. Età d’insorgenza Abbiamo dato la precedenza al lavoro nelle scuole secondarie di I° grado. Molti studi e ricerche, infatti, evidenziano che i rendimenti scolastici inferiori alle capacità dell’alunno si rilevano già dalla prima classe della scuola primaria e in alcuni casi anche dalla scuola dell’infanzia. Differenze di genere Abbiamo notato che i maschi evidenziano maggiori difficoltà rispetto alle ragazze. Gli studi condotti da McCall (1992) fanno emergere che le difficoltà di apprendimento si manifestano prevalentemente nei maschi piuttosto che nelle femmine con un rapporto di 2 a 1. Atteggiamenti nei confronti della scuola e dello studio Abbiamo rilevato, non in tutta l’utenza minorile coinvolta, dalle descrizioni casuali fatte da insegnanti alcuni comportamenti più frequenti nell’alunno con difficoltà scolastiche. I ragazzi e le ragazze assumono spesso nei confronti della scuola comportamenti ostili, aggressivi, di chiusura e di rifiuto e nei confronti dello studio atteggiamenti di noia, distrazione, svogliatezza, indifferenza agli insuccessi, trascuratezza nell’esecuzione dei compiti, disorganizzazione del lavoro scolastico, incostanza nell’impegno. Condizione socio-familiare Dai numerosi incontri con genitori (quasi sempre donne) abbiamo rilevano che gli alunni con difficoltà scolastiche appartengono generalmente a famiglie numerose, che hanno un basso livello d’istruzione, le cui madri sono spesso casalinghe e a famiglie che manifestano un atteggiamento negativo nei confronti della scuola e/o che presentano una condizione sociale svantaggiata. [Dottor GIUSEPPE ERRICO Psicologo - Ricercatore ISTITUTO DI PSICOLOGIA E RICERCHE SOCIO-SANITARIE]